Il fallimento dell’impostazione del Reddito di Cittadinanza è nei numeri.
Meno del 2% dei beneficiari, infatti, ha avuto un primo contratto di lavoro. Un’inezia se paragonata agli alti costi sostenuti ogni anno per finanziare la misura, 6 miliardi di euro, la cui ideazione è stata concepita intorno a due capisaldi del pensiero politico del Movimento Cinque Stelle: le politiche distributive a sostegno dei bonus (tema sul quale hanno trovato anche la convergenza del Pd durante la fase di governo giallo-rossa) e la demonizzazione del privato, incarnata in questo caso dalla scelta sbagliata di escludere dall’intermediazione le Agenzie per il Lavoro.
Che questa impostazione del Reddito avrebbe ottenuto risultati fallimentari, per usare un eufemismo, era fin troppo chiaro dalla sua impostazione generale, che affidava un ruolo significativo a strutture burocratiche come i Centri per l’Impiego, il cui contributo per favorire l’incontro tra domanda e offerta di lavoro in Italia raggiunge un modesto 4%.
Anche i navigator, il cui compito era quello di aiutare i beneficiari del Reddito a trovare un’occupazione, hanno fallito nel loro obiettivo perché spesso si è trattato di figure professionali orientate alla conoscenza della psicologia del lavoro, ma con scarsa attitudine e frequentazione del mercato, delle imprese e del sistema industriale.
Il fallimento della misura, inoltre, è nell’evidente cambiamento di prospettiva e di percezione che lo stesso Conte ha provato a dare del Reddito durante la campagna elettorale. Il Reddito è servito per sostenere gli indigenti, si è detto, ed ha svolto un ruolo significativo come strumento di calmieratore sociale.
Il Reddito, insomma, per stessa ammissione di chi l’ha immaginato, non ha creato occupazione, ma ha svolto un diverso ruolo sociale, che oggi però il Paese non può più sostenere. Almeno con queste dimensioni perché, se da una parte il sostegno agli indigenti deve continuare a essere una priorità sociale del nuovo Governo, non si possono però più depauperare risorse dello Stato che non qualificano il capitale umano.
Non solo sotto il profilo delle competenze, ma anche da un punto di vista culturale, perché il danno maggiore, più profondo e subdolo che ha prodotto l’impostazione del Reddito di Cittadinanza voluta dal Movimento Cinque Stelle, è la distruzione del valore del lavoro come strumento e mezzo di riscatto e di emancipazione sociale, regalando ai nostri figli l’ennesimo alibi del lavoro che non si trova.
In Italia 2 milioni di ragazzi dai 15 ai 24 anni hanno scelto di non studiare e neppure provano a cercare un lavoro. L’emigrazione dei cervelli, la crisi economica e oggi il Reddito di Cittadinanza, sono diventati un ulteriore alibi per continuare a proteggere i nostri figli, destinandoli così alla paralisi e all’emarginazione.