Crimini di guerra
Non potendo controllare le città occupate a causa della resistenza attiva della popolazione locale, il Cremlino ha attuato una operazione su vasta scala per eliminare e deportare politici locali, insegnanti, giornalisti, volontari e attivisti
I crimini internazionali commessi dalla Federazione Russa hanno un elemento in comune: la diffusione del terrore. Nel lavoro di documentazione portato avanti dalle organizzazioni e dai tribunali attivati finora sui crimini commessi in Ucraina, emerge frequentemente questa componente, che si unisce alle già gravi violazioni dei diritti umani.
Quei racconti di terrore e morte li abbiamo ritrovati anche nella testimonianza di Olena Buzinova, madre di Mykyta Buzinov, un giovane autista ucraino rapito e scomparso lo scorso marzo nella regione di Chernihiv. Olena è venuta in Italia per portarci la sua testimonianza e, lo scorso 10 ottobre, è intervenuta nel corso di una conferenza sulla cooperazione tra Stati in materia di giustizia internazionale, organizzata dalla Federazione Italiana Diritti Umani e dalla Media Initiative for Human Rights, insieme all’Ordine Forense di Roma.
Ci ha raccontato di come, alla fine dello scorso febbraio, lei e suo figlio si fossero rifugiati per sfuggire agli spari provenienti dagli appostamenti delle forze russe e di come neanche i rifugi fossero sicuri. Quando suo figlio fu prelevato con la forza dall’edificio in cui si trovava, i militari russi camminavano per le strade, entravano nelle case, facevano perquisizioni, controllavano i telefoni e prendevano le persone.
Anche lei e suo figlio sono stati portati via e, prima che venissero separati, sono stati tenuti in uno scantinato con i militari russi che li insultavano chiamandoli nazisti. In quei giorni erano tante le persone portate via e di cui i loro cari non hanno saputo più nulla. I corpi di alcune di loro, invece, sono stati ritrovati per strada senza vita, con la testa coperta da un sacco e con evidenti segni di tortura. Olena aspetta ancora suo figlio, dopo sette mesi, con la speranza che sia vivo in qualche prigione russa e che ritorni dalla sua famiglia.
La Media Initiative for Human Rights documenta i crimini di guerra in Ucraina dal 2016, collaborando con i più importanti organismi internazionali. Dall’inizio dell’invasione ha documentato più di 300 casi di sparizione forzata. Tuttavia, si sa che i casi sono molti di più, perché dalle zone temporaneamente occupate dalla Federazione Russa non arrivano notizie. Come per gli altri crimini documentati in questi ultimi mesi, anche le sparizioni forzate rientrano tra i metodi più utilizzati dalla Federazione Russa per intimidire e ricattare la popolazione ucraina.
Nel 2014, la Russia cominciò un’azione volta a ottenere il controllo dei territori ucraini: Crimea e parte del Donbas. Già all’epoca, i gruppi armati illegali filorussi eliminavano fisicamente o allontanavano dalla regione tutti coloro che resistevano pacificamente all’occupazione: rappresentanti di amministrazioni locali o nazionali, direttori di scuole e insegnanti, giornalisti, volontari, attivisti o semplici cittadini, anche solo per non aver sorriso al passaggio delle forze russe.
Le ragioni di questo crimine sono diverse, dall’utilizzo dei civili per lo scambio di prigionieri, fino al tentativo di far collaborare la popolazione locale con gli occupanti. Inoltre, tale pratica è diventata, nel tempo, una vera e propria operazione di filtrazione sulla popolazione che non è potuta o non è voluta andare via. L’impunità di questi anni ha fatto sì che gli occupanti potessero continuare a commettere crimini di guerra e crimini contro l’umanità verso i cittadini dell’Ucraina.
Oggi la Russia applica deliberatamente la stessa politica, non potendo controllare le città occupate a causa della resistenza attiva della popolazione locale. Dato il numero crescente di sparizioni forzate su vasta scala in Ucraina e il carattere sistemico ampiamente documentato di tale pratica, non vi è dubbio che questa costituisca un crimine contro l’umanità secondo il diritto internazionale, nonché un crimine di guerra, sotto forma di deportazione, di detenzione e di presa di ostaggi.
È altrettanto evidente che l’Ucraina non possa, da sola, occuparsi di una mole così enorme di crimini internazionali e che necessiti del sostegno della comunità internazionale per le indagini. La natura e l’estensione dell’aggressione russa in Ucraina richiedono un’efficace e urgente cooperazione tra attori nazionali e internazionali al fine di combattere l’impunità e di assicurare giustizia.
Questo significa investire maggiori risorse nella Corte Penale Internazionale, affinché velocizzi le sue attività di indagine, ma anche mettere in atto ulteriori meccanismi, anche nazionali, come la giurisdizione universale, su cui l’Italia ha ancora molto da fare se intende tener fede ai suoi impegni presi ormai vent’anni fa con l’entrata in vigore dello Statuto di Roma.