Conoscere la Shoah
Nell’agosto del 1938 il governo fascista guidato da Benito Mussolini dette il via a un censimento degli ebrei in Italia basato su principi razzisti. Fu questa l’azione propedeutica alla successiva promulgazione di un’organica legislazione antisemita, che pervase ogni aspetto della loro vita.
Nel 1943, con l’occupazione nazista del Centro-Nord Italia e l’instaurazione del regime collaborazionista della Repubblica Sociale, la discriminazione sfociò in persecuzione e la schedatura di tutti gli ebrei d’Italia si rivelò strategicamente fondamentale per portare a compimento la loro deportazione verso i campi di sterminio e per le stragi avvenute sul suolo italiano: nazisti e fascisti poterono, infatti, dare il via alla “caccia agli ebrei” con in mano tutte le informazioni riguardanti indirizzi di residenza e composizione dei nuclei familiari.
Appena preso il controllo delle regioni centro-settentrionali, le autorità naziste attuarono anche in Italia il piano noto come “Soluzione Finale“, ovvero la cattura, la deportazione verso i campi di sterminio e l’uccisione di ogni ebreo che si trovasse nei territori sottoposti al controllo del Terzo Reich. Quella dello sterminio del popolo ebraico in Italia fu fin da subito una priorità per Hitler e i suoi carnefici: la prima retata avvenne il 9 ottobre a Trieste, un mese esatto dopo l’inizio dell’occupazione, e le deportazioni proseguirono senza sosta fino agli ultimi mesi del 1944.
Per l’enorme numero di arrestati e il suo valore simbolico, è la data del rastrellamento degli ebrei di Roma a rimanere scolpita nella memoria storica e civile del nostro paese. All’alba del 16 ottobre 1943, i reparti delle SS coordinati da Theodor Dannecker, già responsabile delle deportazioni di Parigi e della Bulgaria, dettero il via agli arresti degli ebrei romani.
I nazisti, ai quali erano stati forniti i dati aggiornati del censimento della popolazione ebraica della Capitale, catturarono in poche ore 1259 persone: anziani e bambini, uomini e donne. Ciò che avvenne il 16 ottobre e nei giorni immediatamente successivi fu una delle più importanti pagine di storia del nostro paese, tra le più tragiche nella millenaria presenza degli ebrei in Italia.
La collaborazione dei fascisti italiani al progetto nazista, il silenzio del Vaticano contrapposto all’attiva opera di salvataggio messa in atto da tanti sacerdoti e tante suore, la vergogna delle delazioni di alcuni abitanti della Capitale e la straordinaria solidarietà di tanti altri cittadini: mai come in quella tragedia furono evidenti le divisioni e contraddizioni della società italiana in quegli anni.
I carteggi tra i gerarchi nazisti non lasciano dubbi sulla volontà di attuare il prima possibile la deportazione degli ebrei romani. Mussolini fu informato di ciò che sarebbe avvenuto, e gli occupanti superarono le loro titubanze riguardo una possibile reazione del Vaticano, che avrebbe potuto causare non pochi problemi al fragile equilibrio dell’occupazione. Mentre si aprì, a partire dalla tarda mattinata, un’intensa attività diplomatica, e l’accoglienza nelle case religiose cattoliche fu rinforzata, il Papa non pronunciò alcuna pubblica dichiarazione di condanna.
Nei giorni che precedettero il rastrellamento, la comunità ebraica romana visse momenti drammatici e apparentemente contraddittori. Il 26 settembre il comandante della Gestapo, Herbert Kappler, aveva intimato la consegna di 50 chilogrammi d’oro, pena l’arresto di 200 capi famiglia. Con grande sforzo, e anche grazie all’aiuto di alcuni romani non ebrei, l’oro fu raccolto e consegnato. Pochi giorni dopo ci fu una perquisizione nell’edificio del Tempio e della Comunità: libri e manoscritti di inestimabile valore religioso e storico furono sottratti e inviati in Germania. La maggior parte di questi non saranno mai più restitituiti né ritrovati.
Nelle prime ore del 16 ottobre le SS dettero il via al rastrellamento. Quasi tutte le 1259 persone catturate si trovavano nelle proprie abitazioni, ignare del loro destino. La consegna dell’oro pareva infatti, per molti, aver soddisfatto i nazisti, che venivano considerati, nonostante tutto, uomini d’onore che avrebbero rispettato la parola data.
Vi era poi la vana fiducia in ciò che restava delle istituzioni italiane per fermare i nazisti, oltre all’illusione che il Papa avrebbe protetto i “suoi” ebrei. Come purtroppo sappiamo, né le autorità italiane né Pio XII erano però intenzionati a compiere alcun atto formale per impedire la loro deportazione verso Auschwitz. Di fondamentale importanza è inoltre ricordare il forte senso di appartenenza che gli ebrei italiani provavano per la propria nazione. In particolare i romani sentivano una forma ancora maggiore di attaccamento affettivo per la propria città, nella quale la presenza ebraica era ininterrotta da oltre duemila anni.
Ciò può contribuire a spiegare come, nonostante l’introduzione delle leggi razziali e poi l’inizio dell’occupazione, gli ebrei italiani fossero in maggioranza convinti che in Italia sarebbe stato impossibile che potesse avvenire ciò che accadeva già nelle altre parti d’Europa: la fiducia nel proprio paese e nei loro concittadini era più forte delle evidenze … leggi tutto