di MASSIMO BORDIGNON E LEONZIO RIZZO
La posizione di Fratelli d’Italia sull’Unione europea è definita dal concetto di “Europa delle nazioni”.
Ma introdurre il principio della dominanza della legislazione nazionale su quella europea sarebbe molto pericoloso per i nostri interessi nazionali.
La cautela di Meloni
In campagna elettorale Giorgia Meloni è stata molto attenta a non cavalcare le promesse demagogiche dei suoi colleghi di coalizione, probabilmente perché informata della fragile situazione economica del paese e conscia del fatto che sarebbe poi toccato a lei, come vincitrice annunciata delle elezioni, far corrispondere le politiche alle parole.
Se l’inusuale cautela elettorale troverà corrispondenza nei fatti, si vedrà presto con la composizione del governo e ancor di più con la legge di bilancio per il 2023, che il nuovo esecutivo dovrà mettere in piedi in fretta e furia non appena ottenuta la fiducia parlamentare.
Meno cautela la leader di Fratelli d’Italia ha invece mostrato su altri temi identitari, dai diritti civili alle riforme costituzionali, alle posizioni assunte rispetto all’Unione europea. Su quest’ultima, la posizione di Fratelli d’Italia è ben definita ed è rappresentata dal concetto dell’“Europa delle nazioni”, un’espressione originariamente dovuta a Charles De Gaulle e diventata ora il cuore del programma politico del Partito dei conservatori e riformisti europei, che Giorgia Meloni presiede dal 2020.
Si tratta di un’alleanza di diversi partiti nazionali, in minoranza nel Parlamento europeo, che una volta aveva il suo nucleo fondamentale nei conservatori inglesi (quelli della Brexit) e che ora annovera tra le componenti principali i polacchi di “Diritto e Giustizia”, al potere nel paese, e i “Democratici svedesi”, anch’essi ormai vicini alle stanze del governo, oltre a vari altri partiti minori.
L’Europa delle Nazioni
“Europa delle Nazioni” significa il rifiuto di una visione federale o sovranazionale dell’Unione europea, a vantaggio di un modello intergovernativo in cui i paesi europei si mettono d’accordo sullo svolgere alcune politiche assieme, sulla base delle convenienze reciproche, ma restano poi totalmente sovrani in tutto il resto, inclusa naturalmente la definizione dei diritti sociali e civili e anche l’organizzazione interna dei rispettivi paesi (compresa la democrazia plebiscitaria propugnata dall’ungherese Viktor Orban, altro tradizionale alleato di Giorgia Meloni).
Per esempio, nel Manifesto per un’Europa dei popoli, presentato da Fratelli d’Italia nel 2017, in occasione del sessantesimo anniversario della firma dei Trattati di Roma, si legge che l’Unione europea dovrebbe diventare “una Confederazione di stati nazione liberi e sovrani che cooperano liberamente sulle grandi materie strategiche, dalla sicurezza all’immigrazione, dal mercato comune alla politica estera, ma senza la tirannia dei burocrati che vengono a imporre le loro regole ai cittadini degli stati membri”.
Si auspica inoltre l’introduzione di “riserva di sovranità che impedisca l’adesione a trattati e accordi internazionali che ledono il nostro interesse nazionale o mettono in discussione la sovranità popolare”.
Tradotto, quest’ultimo punto significa introdurre il principio della dominanza della legislazione nazionale su quella europea, anche rispetto alle materie che i Trattati assegnano all’Unione europea.
Cosa non funziona
Che c’è di male in questa formulazione? Perché non va bene l’Europa delle nazioni? Anche tralasciando il fatto che fin dalla sua istituzione l’Unione europea si è costituita come una comunità di valori, da cui non si può prescindere (incluso il rispetto dello stato di diritto e degli istituti della democrazia rappresentativa, da cui derivano le numerose procedure di infrazione nei confronti di Ungheria e Polonia), il problema è che un sistema del genere non funziona.
La controprova più evidente la si trova nelle materie che non sono state attribuite alla competenza europea e ai suoi meccanismi decisionali (basati sul circuito Commissione – Consiglio – Parlamento europeo) e dove dunque ci si affida interamente al sistema intergovernativo propugnato da Fratelli d’Italia.
Con 27 paesi sovrani, caratterizzati da un’ampia eterogeneità economica e politica, in cui ciascuno ha di fatto un potere di veto su ogni singola decisione, raggiungere scelte condivise è estremamente difficile e laborioso. Se nonostante l’invasione russa non si è ancora riusciti a fare passi avanti concreti sul tema dell’energia o sulla difesa comune, è proprio perché su questi temi la sovranità resta ai singoli paesi e trovare un compromesso che superi gli egoismi nazionali e faccia contenti tutti è estremamente difficoltoso.
La sindrome del “too little, too late”, che ha spesso caratterizzato le scelte europee, è il frutto di questi meccanismi decisionali inefficienti e di una non corretta attribuzione di competenze tra stati nazionali e federazione europea.
Naturalmente, ciò non significa che l’Unione europea dovrebbe occuparsi di tutto e che la sovranità dei paesi membri dovrebbe essere semplicemente cancellata.
Nessuna federazione o confederazione esistente funziona così e in realtà, sulla base del principio della sussidiarietà, si potrebbe ben argomentare che diverse funzioni ora attribuite alla competenza europea dovrebbero essere riportate alla sovranità dei singoli paesi (per esempio, nel campo dell’agricoltura, che ancora adesso copre oltre il 40 per cento del bilancio europeo).
Ma per quelle funzioni dove ci sono considerevoli costi fissi e forti interdipendenze tra le politiche dei paesi (i cosiddetti “beni pubblici” europei), attribuire queste decisioni a livello europeo è essenziale per poter offrire migliori servizi ai cittadini europei a costi più bassi.
In uno studio recente, per esempio, mostriamo come accentrare le decisioni di spesa a livello europeo per alcune funzioni potrebbe portare ad importanti risparmi.
Nel caso della difesa, già solo evitare le molte duplicazioni presenti in Europa con una politica di spesa coordinata comporterebbe risparmi stimati pari 45 miliardi. Nel caso della sanità, centralizzare le politiche di acquisto per alcuni beni e servizi intermedi tramite un acquirente unico (come si è fatto per i vaccini anti-Covid 19) potrebbe far risparmiare fino a 17 miliardi … leggi tutto