di Pino Donghi
Con un p.s.
Così, dopo aver letto il primo capitolo di Senza respiro di David Quammen, nemmeno trenta pagine, con un post scriptum avevo pensato – prima ancora di scriverla – di chiudere la recensione. Con una raccomandazione.
Per tutti quelli che nutrono ancora dubbi, vari, che parlano per sentito dire, che discutono a tavola premettendo “la mia impressione è che…”, per i tanti che s’imbarcano in infinite discussioni social, per tutti voi che avete letto questo articolo: leggete il libro, leggete Senza respiro di David Quammen (Adelphi, 2022), dedicato alla “corsa della scienza per sconfiggere un virus letale”, leggetelo così che di dubbi, magari, ve ne vengano altri, ma mettendo da parte quelli più sguaiati, così da parlare con almeno un po’ di cognizione di causa, appoggiando le vostre supposizioni su qualche dato di fatto, forse evitando polemiche gratuite, posto che sui social sia possibile.
Siccome Quammen dedica il suo ultimo volume “a tutti coloro che hanno perso i propri cari in questa pandemia” mi era sembrata speculare e forse necessaria una raccomandazione finale, anche per onorare quelle morti e chi ancora le piange.
Ma la lettura, via via, delle altre pagine, di tutti gli otto capitoli, e anche dei crediti e delle note, mi ha convinto che ciò che pensavo di aggiungere in conclusione, una raccomandazione, racchiudeva invece il senso di tutto quello che vale raccontare di questo libro.
Che è raccomandabile perché è un resoconto dettagliato di tutto ciò che è successo dalle 17:43 – ora di Wuhan – del 30 Dicembre 2019, quando il giovane oftalmologo Wenliang Li dell’Ospedale di quella città, la più popolosa della Cina centrale, che da quella sera è diventata famosa in tutto il mondo, postò su WeChat, una app cinese multiuso che combina le funzioni di Facebook, Instagram, WhatsApp e Zoom, in un gruppo privato di ex compagni della facoltà di medicina, il messaggio: “7 casi confermati di Sars sono stati segnalati dal mercato ittico di Huanan”.
Avute migliori informazioni, un’ora dopo corresse il riferimento alla Sars in “infezioni da coronavirus”, e poi aggiunse anche “non fate circolare quest’informazione al di fuori del gruppo”, avvertenza che non è stata sufficiente a risparmiargli i provvedimenti delle autorità cinesi: Li, la “talpa”, è divenuto un vero e proprio capro espiatorio.
David Quammen ci riporta a quel 30 Dicembre, a quelle 17:43 (ma a più riprese anche più indietro nel tempo) che stabiliscono un prima e un dopo per tutti noi, e ci accompagna in un racconto che dire dettagliato e puntualmente corredato di note, crediti, bibliografia è ancora poco, e lo fa fino ai giorni nostri, che non sono poi lontanissimi dal capodanno (quasi) del 2020: un migliaio di albe e poco più. Sicché ad oggi, per sei milioni e mezzo di abitanti della Terra, le ultime che abbiano visto sorgere.
È una lettura raccomandabile perché si fa la conoscenza di una quantità di donne e uomini che da quella sera, si può dire effettivamente “senza respiro”, hanno profuso tutte le loro energie, messo in campo anni di conoscenze e di studi, per affrontare ciò che per molti di loro non è stata una sorpresa, “non più di quanto possa esserlo il sopraggiungere di un evento tristemente ineluttabile”.
Specialmente gli esperti di malattie infettive e di zoonosi, ovvero le infezioni nell’uomo causate da agenti patogeni di origine animale, lo avevano previsto e sapevano che sarebbe stato per colpa di un virus, di uno con un genoma capace di evoluzione veloce, un genoma scritto con l’Rna, una molecola che trasmette informazione a singolo filamento (non come la doppia elica del DNA), più fragile, meno stabile e perciò particolarmente mutevole.
Leggendo, quasi subito, si fa la conoscenza di donne come Marjorie Pollock, vicedirettrice di ProMed-mail – un servizio di segnalazione via e-mail con circa 80mila iscritti, un vero e proprio “campanello d’allarme” che mette in guardia le reti internazionali sulle malattie infettive – la quale, tra l’antipasto e la portata principale del cenone di Capodanno 2020, sulla Mecox Bay, vicino all’estremità orientale di Long Island, lascia la tavola e il marito per rispondere alla chiamata di Peter Daszak, il presidente di EcoHealthAlliance, un’organizzazione la cui missione è proteggere dalle malattie infettive sia la fauna selvatica che gli esseri umani, e che tornando a casa dopo la cena consumata oramai fredda, invece di seguire il count-down di Times Square, si mette a cercare in rete, e trovato un servizio su Sina Finance, che è un’attendibile servizio d’informazione in lingua cinese, lo copia in un sito di traduzione automatica e legge: “Alcuni pazienti con polmonite di causa ignota sono stati identificati in molteplici ospedali di Wuhan […] Non è ancora stato chiarito se si tratti o meno di Sars, e la popolazione non deve farsi prendere dal panico”.
La popolazione non deve farsi prendere dal panico? Sarà, ma in quelle stesse ore anche altri ricercatori, tra i quali Henry Li, un postdoc, e la sua supervisor Susan R. Weiss, un’autorità sui coronavirus, stanno leggendo le stesse cose e quando tornano a Filadelfia, il 2 Gennaio, cominciano a ordinare mascherine N95, che avevano già utilizzato per studiare la Mers, e camici, guanti, e respiratori elettroventilati, perché avevano già capito e deciso che lavorando con un probabile nuovo coronavirus, avrebbero avuto bisogno di protezioni. Il giorno prima, il 1° Gennaio, quando nemmeno l’OMS era stata ancora avvisata, le autorità comunali di Wuhan chiudevano il mercato ittico per sottoporlo a “sanificazione e lavori di mantenimento”.
Tra il 1° e il 3 Gennaio del 2020 almeno tre equipe disponevano dei risultati dei campioni ambientali dei canali di scolo del mercato, e avevano già la sequenza genomica, “avevano visto il virus”: l’equipe di George Fu Gao, direttore generale del Chinese Center for Disease Control and Prevention, quella di Yong-Zhen Zhang dello Shanghai Public Health Clinical Center, che aveva sottoposto la sequenza a GenBank, un database internazionale a libero accesso, anche se non l’aveva ancora resa pubblica, e anche il gruppo della scienziata Zhengli Shi a Whuan.
Fu Gao ad avvertire l’OMS il 7 Gennaio parlando direttamente con il direttore, Tedros Adhanom Ghebreyesu; fu Eddie Holmes, biologo evoluzionista dell’Università di Sydney e unico membro non cinese dell’equipe di Yong-Zhen Zhang, colui che aveva materialmente sequenziato il genoma del nuovo virus, a chiamare il suo capo che era su un aereo, per dirgli: “Zhang, DOBBIAMO pubblicarla! DOBBIAMO pubblicare la sequenza, ok? Tutti la vogliono”, e il 10 Gennaio su Virological esce un post dal titolo, Novel 2019 coronavirus genome, e… e se ancora non siete corsi in libreria a comprare Senza respiro, come convincervi altrimenti?
Magari anticipando che potreste così leggere e conoscere anche tutti gli altri momenti in cui l’abbiamo scampata per un pelo, e senza tornare alla peste bubbonica del XIV secolo, alla “spagnola” del XX, più recentemente a Ebola e all’Hiv-1.
Anche questa è una storia di donne e di uomini, come Donald S. Burke che nel 1997 interviene a una conferenza presso la sede dell’American Society for Microbiology ad Atlanta il cui testo conosciamo grazie al paper rielaborato che pubblicò l’anno seguente con il titolo Evolvability of Emerging Viruses: “Attenzione ai virus a Rna – scriveva, così come aveva detto durante la conferenza – perché hanno un’elevata evolvibilità. Cambiano e si adattano rapidamente”. E non solo, dispongono anche di un altro utile (per loro) e fatale (anche per noi) trucchetto, possono ricombinarsi: “la ricombinazione è utile sia a ibridare le varianti altamente adattate, sia a rimpiazzare i geni difettosi e inefficaci”.
Come a dire che la ricombinazione offre ai virus nuove opzioni di sviluppo a un tempo liberandosi dei detriti genetici. E provocando pandemia, proprio perché quei virus sono poi estremamente capaci di adattarsi a nuovi ospiti. Anche a noi … leggi tutto