di Mario Lavia
Vocazione parassitaria
Reduce dall’ennesima figuraccia elettorale, la sinistra dalemiana non vuole ammettere che il progetto nato solo in reazione e in odio verso Renzi è ormai fallito
La spocchia ce l’hanno tanti politici, ovunque, a destra e a sinistra. L’arroganza ce l’hanno anche certi soggetti collettivi costituiti da persone che, in sé stesse, arroganti non sono ma che cementati dall’ideologia si sentono in diritto di «metter le brache al mondo», come scriveva Gramsci.
Emblematico è il caso di Articolo Uno, un partito che in limine mortis dovrebbe innanzitutto ammettere che il suo progetto è fallito. Il progetto fu troppo segnato dal sentimento di reazione e in odio viscerale verso Matteo Renzi, all’epoca leader del Partito democratico.
La storia della sinistra è costellata da odi profondi – sorvoliamo qui sulle tragedie che quegli odi scatenarono in passato – e in un certo senso si può dire che si nutre di queste passioni negative, ma un disprezzo come quello dei bersaniani verso Renzi è quasi irraggiungibile.
In questi anni hanno sempre avuto una sola idea fissa: eliminare Renzi e riprendersi il partito. Che poi, paradossalmente, è un partito, il Partito democratico, a cui non hanno mai creduto sino in fondo (come Massimo D’Alema, che se fosse stato per lui non lo avrebbe mai fatto) o lo hanno accettato nella misura in cui si avvicinasse alla reincarnazione del Pci più la sinistra democristiana: cancellato il Partito, il partito era meglio di niente, sempre una specie di Ditta è.
Fatta la scissione, la lista elettorale – Liberi e Uguali, Pietro Grasso: chi se ne ricorda più – negli anni non è riuscita a combinare granché: qualche posto, qualche sottosegretario, un ministro importante, gli uffici in Parlamento, qualche europarlamentare, molta presenza in tv con Pierluigi Bersani che, ormai ex deputato, collabora con Floris e Gruber. I voti sono sempre stati pochini.
Sinistra Ecologia Libertà, Possibile, Articolo Uno, Sinistra italiana, Liberi e Uguali, Rossoverdi e via nebulizzando la sinistra radicale non riesce mai a spiccare il volo, né tanto meno a unirsi.
Adesso la storia dei bersaniani è finita. D’Alema fa consulenze in tutto il mondo e politicamente è finito anche lui. Ci si sarebbe aspettati da Articolo Uno un’analisi dei motivi della sua rapida consunzione, non diciamo un’autocritica che a sinistra è ormai merce rarissima, ma insomma un atteggiamento più consapevole, misurato, modesto, semmai ringraziando il cielo di aver ritrovato il vecchio approdo e accontentandosi delle stanze che gli daranno al Nazareno. Macché.
L’ultima assemblea ha partorito un documento lungo – ça va sans dire – con spunti interessanti anche se tutt’altro che inediti disposti secondo l’ordine classico di questi testi: politica internazionale, economia, questioni sociali, Stato, ambiente, infine donne.
Con un paio di consigli al partito che gli sta aprendo le porte salvandoli dall’oblio: il Partito democratico metta la parola “lavoro” nel simbolo, perché infantilmente pensano che citare il lavoro sia la risposta al «liberismo da espungere», una favola che sta percorrendo tutto il coté giornalistico-politico da Lilli Gruber al Mulino.
E, ancora, si chiede al Partito democratico il «superamento nell’impianto statutario del nuovo partito di meccanismi di investitura personalistica della leadership», un giro di parole per dire addio alle primarie. E non può mancare infine il classico no all’aumento delle spese militari, tra l’altro confermato dal loro punto di riferimento fortissimo Giuseppe Conte nei suoi due governi, oltre che dal partito in cui stanno per entrare.
Enrico Letta, a cui ormai non resta che citare San Paolo («È giunto il momento di sciogliere le vele, ho combattuto la buona battaglia, ho terminato la mia corsa, ho mantenuto la fede»), gli ha battuto le mani, clap clap, meno male che qualcuno è arrivato sennò che fase costituente era? Nel documento non si parla dello scandalo che riguarda Antonio Panzeri, ex europarlamentare (che tra l’altro pare che negli ultimi tempi dicesse peste e corna dei compagni di Articolo Uno), anzi, al nome «Panzeri» s’adontano pure.
Bersani ha fatto la battuta più fuori luogo che potesse fare: «Li conoscevamo, non abbastanza evidentemente e del resto se ci sono voluti cinque servizi segreti europei non era così facile capire…». Cioè non è stato garantista, poteva dire «vediamo come finisce», e nemmeno il contrario, cosa che avrebbe richiesto chiedere scusa. Loro sono «incazzati» (parola di Roberto Speranza), ma al pari della sinistra del Partito democratico (d’altronde sono indistinguibili) ritengono che sia sempre colpa di qualcun altro. Cadono sempre in piedi.
Reduci da un fallimento politico, s’incazzano pure, come quegli automobilisti che ti vengono addosso con la macchina, ne scendono e ti aggrediscono, loro che sono dalla parte del torto.