di Franco Insardà
QATARGATE
Intervista al filosofo ed europarlamentare del Pci. «Ai dem basterebbe ricordare che nel Qatargate non ci sono indagati con la tessera del Nazareno: ma sono talmente ridotti al nulla, che non hanno neppure la forza di fare questo»
Biagio de Giovanni non ha mai fatto mancare il proprio pensiero critico nei confronti del Pd, e con la saggezza dei suoi 91 anni, appena compiuti, propone al Dubbio un’analisi molto puntuale
Professor de Giovanni, il Pd e la sinistra dopo le elezioni politiche dello scorso 25 settembre sembravano aver toccato il punto più basso. Alla luce del Qatargate si ha l’impressione che il baratro sia ancora più profondo.
Questa situazione è evidente e anche comprensibile, perché il Pd in questo momento è il nulla politico. Nel 2007, quando nacque, con Massimo Cacciari e Giuseppe Galasso scrivemmo un libro e ci confrontammo proprio sul Partito democratico. Già allora io sparavo a palle infuocate su quella operazione, perché ritenevo che formare un partito da due culture sconfitte era un gravissimo errore. Non hanno fatto i conti con la loro storia. Si faceva riferimento ai due riformismi, senza tener presente che avevano fallito, e che la Prima repubblica era finita. Hanno pensato di essere gli eredi di quelle due grandi forze politiche che avevano governato. Con la caduta del muro di Berlino e soprattutto dopo la fine dell’Unione Sovietica il Pci non aveva più ragione di esistere, la sua origine derivava dall’accettazione del 1917.
Quindi il Pd nacque con questo peccato originale?
È evidente. Da allora a oggi abbiamo assistito al totale mutamento della struttura della società. C’è ancora qualcuno che parla di movimento operaio? Non c’è più la grande fabbrica, il compromesso tra capitalismo e democrazia che avveniva all’interno degli stati sociali. Adesso il capitale finanziario gira libero per il mondo. Così si spiega anche la labilità del voto, con repentini aumenti e cali di consenso dei partiti. Viviamo in una società destrutturata, non ci sono più le classi, non c’è più il lavoro organizzato e i sindacati.
A distanza di 15 anni quella sua considerazione sul Pd è una drammatica realtà.
Il Pd è cominciato a finire quando ha deciso di guardare ai 5Stelle come alleati politici. Aveva una prateria davanti durante il governo Conte 1 e non avrebbe dovuto deporre le armi per formare il Conte 2. Non avrebbe dovuto guardare a un movimento iperpopulista, il peggio che era nato in Europa: basta ricordare il punto di partenza dei 5Stelle e l’esperienza di governo con la Lega. L’ho scritto già e lo ribadisco: i 5Stelle sono il cancro della democrazia italiana e il Pd accettando un’alleanza con loro ha compiuto un gravissimo errore strategico. Basti pensare che hanno accettato il taglio dei parlamentari senza altre riforme
A che cosa avrebbe dovuto guardare il Pd?
A un centro liberale, partendo chiaramente da una visione di sinistra. Questa sarebbe stata l’unica strada per tenere in piedi la sinistra, anche perché in quel momento Giuseppe Conte non era il Che Guevara che interpreta adesso, ma era quello che mostrava con orgoglio in tv i “decreti sicurezza” di Matteo Salvini. Quello era il momento cruciale per ripartire con l’unica sinistra esistente, regolando poi i rapporti alla sua sinistra. Ritengo necessario, e l’ho sempre sostenuto, avere anche delle formazioni più massimaliste. La sinistra moderna doveva ripartire guardando al centro liberale che comprende sia una buona parte degli astensionisti, sia pezzi di Forza Italia, sia quello che stava nascendo come Terzo polo. Non sono in grado di stabilire che cosa sarebbe successo, ma in Italia ci sarebbe stata una sinistra-centro: una sinistra liberaldemocratica.
Perché lei la parla di liberal democrazia e non di liberalsocialismo?
Il liberalsocialismo è un termine un po’ usurato, perché in questo momento non saprei dirle che cos’è il socialismo. Basta guardare il destino che stanno avendo le socialdemocrazie europee, salvo in parte la Germania anche se si stratta di una socialdemocrazia ridotta a poco. Sono da sempre d’accordo con Ralf Dahrendorf, il quale quando cadde il muro di Berlino disse “questa è la fine del comunismo e l’inizio della fine delle socialdemocrazie”.
Quindi, secondo lei il Pd avrebbe dovuto percorrere la via liberal democratica.
Sì, era una strada difficile e impervia ma andava percorsa. Il Pd, invece, ha aperto la porta ai 5Stelle, solo perché Salvini ha fatto saltare il governo, e ha accettato di creare un nuovo esecutivo con Giuseppe Conte, “avvocato del popolo”.
All’indomani del Qatargate il Pd ha un atteggiamento masochista: come lo spiega?
Il Pd non esiste più. In questo momento non saprei dire qual è il suo ruolo, il suo gruppo dirigente. Cosa pensa di fare realmente sulle alleanze. Un gruppo dirigente maltrattato fino al disprezzo da Conte, che cavalca un’onda di consenso arrivando quasi al 18% nei sondaggi con un Pd che è ormai al 14%. È del tutto evidente che i 5Stelle hanno più carte in mano da giocarsi con gli elettori. Il Pd sta vivendo una fase di grande debolezza politica e morale e si sente toccato da un avvenimento di una gravità eccezionale. Serenamente il Pd potrebbe sostenere che non ci sono suoi rappresentanti tra gli indagati, ma non ha la forza di dirlo e spera che non vengano coinvolti i suoi. In un momento così difficile in cui parlare di identità politica del Pd è un’impresa eroica, essere toccati da uno scandalo di dimensioni enormi non può lasciare indifferenti. Si sentono di non poter più dire che sono il partito degli onesti: un’altra stupidaggine.
E perché la ritiene una stupidaggine, Professore?
Il Pd dovrebbe essere un partito politico che sappia cosa dire all’Italia, un Paese che sta vivendo una crisi drammatica. Invece c’è il segretario Letta dimissionario, quattro o cinque persone che puntano a sostituirlo ma per fare che cosa? Nessuno lo sa. Spostare di mese in mese il congresso è un vero e proprio suicidio politico. Fino a quando non eleggerà il suo nuovo segretario, che fa il Pd? Sta diventando un’appendice dei 5Stelle. Il Pd dovrebbe riuscire a sfilarsi da questa sorta di sottomissione, fare una vera e propria lotta anche a costo di enormi difficoltà.
Il garantismo ormai è merce rara, eppure prima era uno dei tratti significativi di una parte della sinistra.
Più che di garantismo parlerei della necessità di una riforma profonda della giustizia. Mi permetto di fare al Pd una proposta sicuramente eterodossa: collaborare con Nordio. Il ministro della Giustizia sta proponendo tre cose fondamentali: separazione delle carriere, fine della obbligatorietà dell’azione penale e intercettazioni controllate. Se davvero Nordio andrà avanti questa è la strada da seguire anche per un Pd che voglia essere riformista e al passo con i tempi. Nei tanti convegni degli avvocati penalisti ai quali ho partecipato, l’ho sempre sostenuto. Se il ministro Nordio riuscirà a riformare in maniera così profonda la giustizia non significa che si favorirà la corruzione, ma si riuscirà a depoliticizzare la figura del pm e arrivare al processo giusto, garantendo la terzietà delle parti.
Il Pd quindi che cosa dovrebbe fare?
Fare dichiarazioni importanti su tutti i temi: dalla guerra ai rapporti internazionali, dalle risposte al dramma dell’ineguaglianza sociale alla giustizia. Il Pd dovrebbe intestarsi queste battaglie a cuore aperto e diventarne il protagonista. Deve provare a recuperare un suo ruolo, sia a livello internazionale che nazionale. E ripeto: forse è tardi. Tutto è possibile in politica, ma sarà un processo disperatamente lento e problematico. Lo scenario che abbiamo di fronte è quello di un centrodestra forte, con una sua identità e una leader professionista politica che non è assolutamente da disprezzare. Dall’altra parte c’è la pressione del Movimento 5Stelle con la battaglia del reddito di cittadinanza e il disarmo dell’Ucraina. In mezzo c’è questo Pd, svuotato di pensiero e di uomini, che non ha un compito facile, quasi impossibile, anche se in politica, ripeto, nulla è impossibile. Più che parlare di candidati alla segreteria, bisognerebbe ragionare su che cosa fare per l’Italia. Il Pd, usando una formula retorica, si è allontanato dal popolo, è il partito dell’establishment. Le componenti del centrodestra, pur giocando partite diverse, sono riuscite a trovare una sintesi con una leader intelligente e una politica esperta come Giorgia Meloni.
Ha parlato del rapporto subalterno del Pd con i 5Stelle, ma le cose non vanno meglio con il Terzo polo.
Pur riconoscendo i limiti del personaggio, ho sempre detto che Renzi è l’unico talento politico uscito dalla crisi della sinistra, ed è stato annientato sì dai propri difetti, ma soprattutto dal fuoco amico. Questa iniziativa, seppur debole con il suo 7-8%, è un punto di riferimento che non dovrebbe essere smarrito dal Pd, sarebbe sbagliato se i dem guardassero altrove. Il problema del Terzo polo è che non riesce ad acquisire una forte fisionomia politica perché Calenda non è un politico. Renzi ha fatto bene a defilarsi, perché sa di essere uno degli uomini più odiati d’Italia, speriamo che Calenda prenda forma come leader.
Lei è stato per 10 anni al Parlamento europeo: ha mai avuto il sentore che ci potesse essere corruzione?
No, nel modo più assoluto. Sono stato parlamentare europeo dal 1989 al 1999, gli anni più belli dell’Unione europea. Abbiamo vissuto avvenimenti epocali: caduta del muro di Berlino, disgregazione dell’Unione sovietica, allargamento dell’Unione agli ex paesi comunisti. La nostra era una grande delegazione che lavorò molto bene, sono stato presidente della commissione Istituzionale per quasi un’intera legislatura. Si lavorava politicamente e non c’era neanche il sospetto di una corruzione sotterranea. E infatti non c’è mai stata alcuna inchiesta. Oggi la situazione è completamente cambiata, nasce dalla distruzione dei partiti e ogni parlamentare si sente libero di fare quello che vuole, anche di andare in giro con una valigia piena di soldi. Roba da matti…
Il Qatargate potrebbe essere un colpo letale per un’Unione europea che già vive un momento di difficoltà?
Non arriverei a parlare di colpo letale, perché la cosa potrebbe essere circoscritta a un gruppo di persone. La cosa grave è la permeabilità dell’Unione europea, e un segnale di un’identità debole e dispersa. La Ue si trova in un momento difficilissimo per una ragione molto semplice e terribile: sta cambiando la struttura del mondo ed è nel caos. È arrivato il momento per l’Unione europea di decidere di essere una Unione politica: muore, se vuole rimanere semplicemente mercato più regole. Se nel 2024 si ritornerà al patto di stabilità nella vecchia formula dell’austerità tedesca, il fallimento è dietro l’angolo. Non credo che sarà così perché la Ue ha in sé degli anticorpi, certo il Qatargate l’ha colpita nella sua credibilità.
Con il Qatargate il pensiero è andato a “Mani pulite”: vede delle similitudini?
“Mani pulite” fu l’inizio della politicizzazione della magistratura. Senza dubbio c’era la corruzione, ma bisognava trovare un compromesso politico e Craxi fu l’unico a proporlo, nel suo famoso discorso in Parlamento del 1993. Non si fece nulla, anche per le difficoltà del Pci dopo la caduta del muro di Berlino, e per la prima volta nella storia delle democrazie parlamentari una inchiesta giudiziaria ha distrutto un sistema politico.