BLOG “L’ultima ora” di Raimo: manifesto scompigliato sulla Scuola (ilriformista.it)

di Sciltian Gastaldi

Questo saggio di Christian Raimo intitolato 
L’ultima ora. Scuola, democrazia, utopia 
(Ponte alle grazie, 18€, pp. 366) sulla 
scuola è un lavoro utile, informativo, 
interessante e valido. 

Eppure  è allo stesso tempo un’analisi incompleta, ideologica, movimentista e disarticolata, a tratti irritante. Vediamo come tutto ciò è stato possibile.

Il tema è quello a noi carerrimo della scuola italiana che, come dice l’autore romano, “è sempre in crisi” (11-19). Sia chiaro: non siamo dinanzi al consueto, insulso, reazionario e offensivo instant-book sulla scuola basato solo sulle (ri)strette e perfettamente inutili esperienze personali degli autori.

Penso a libercoli come L’aula vuota (Marsilio, 2019), di Ernesto Galli della Loggia o Il danno scolastico (La nave di Teseo, 2021) dei coniugi Mastrocola & Ricolfi: tutte penne che ho smesso di recensire dopo aver preso atto della ostentata e ripetuta ascientificità dei loro scritti, per altro pompati da case editrici conniventi. Dietro queste 366 pagine di Raimo c’è – al contrario – una ricerca e una bibliografia degni di una prima bozza di tesi di dottorato.

L’aspetto migliore del libro è che la tesi è chiara e si sente netta la voce del suo autore. Christian Raimo rivendica in apertura le sue umili origini operaie, e riconosce che la sua “emancipazione culturale, sociale, politica è stata tutta o quasi tutta determinata dalla scuola pubblica” (9).

Il volume, dopo una affascinante e dotta analisi di un film di Alf Sjöberg e scritto da un giovanissimo Ingmar Bergman, Spasimo, (1946) rivendica in modo puntuale il suo obiettivo: “L’ambizione di questo testo è […] ragionare in modo spietato sul disastro che rischia di incombere sulla scuola italiana. La crisi attuale del sistema scolastico pubblico è molto più severa: riguarda il senso stesso dell’educazione come pratica di emancipazione, quella felice formula costituzionale che parla di rimozione degli ostacoli e pieno sviluppo della persona umana.” (17).

Bella la parola-chiave “emancipazione”: è quella che uso anche io nella mia prima lezione coi miei nuovi studenti di terza liceo. Del resto anche Raimo sa scegliere con cura i termini: oltre a essere un intellettuale noto a livello nazionale, è un appassionato insegnante di Storia e Filosofia. Di più: è un amante dichiarato della scuola pubblica egalitarista di stampo marxista.

Quella che immagina studenti e docenti tutti uguali, nel senso, ahimé, di fatti con lo stampino. Non è un caso che l’autore descriva la “scuola democratica pubblica” come “un tesoro da tutelare” (9) e la senta più rappresentata dall’articolo 3 della Costituzione che non dall’apposito articolo 34. Nel 34, infatti, si parla anche dei “capaci e meritevoli”: due concetti che l’autore ha in somma uggia.

Non ho invece affatto gradito la presenza di diversi capitoli ripubblicati o rimasticati da interventi editi per altre testate. Questa è una caratteristica di Raimo, già incontrata sia per Tutti i banchi sono uguali. La scuola e l’uguaglianza che non c’è (Einaudi, 2017) che per Ho 16 anni e sono fascista. Indagine sui ragazzi e l’estrema destra (Piemme, 2018). Altro aspetto su cui un vero editor avrebbe dovuto imporsi. Il grado di genuina passione di Raimo per l’argomento “scuola” è tale che l’intero libro manca di sistematicità.

Difetto di cui lo stesso autore è conscio, al punto da dichiararlo in chiusura (335) e di definire il suo lavoro in modo onesto come “una specie di lungo e forse disarticolato intervento in un’assemblea permanente” (336). Sul ponte (alle Grazie) sventola bandiera bianca: non so cos’altro potesse fare lo scrittore romano per chiedere aiuto all’editor, ma nisba. Il risultato è un eclettismo confusivo, bel al di là del postmoderno, che sfocia in tuttologia.

Ecco dunque che l’autore si propone, a seconda del capitolo, come storico della pedagogia (ed è la componente migliore, presente nei capitoli 1, 2, 5, 8, 10: gli unici che vadano letti e che andavano pubblicati), cronachista della pandemia (capitoli 4 e 6 ma senza però approfondire sulle metodologie della Dad e del blended learning appena citato, e qui in bibliografia ci sono lacune sorprendenti). Ancora: c’è un Raimo critico letterario di opere di fantascienza dedicate alla scuola…

Originale il punto di vista, ma l’interesse per il lettore che non sia appassionato di critica letteraria fantascientifica è pari a zero, e sul mancato taglio di questo capitolo 3 sono disposto a organizzare un sit-in sotto via Gherardini. Poi c’è un Raimo critico televisivo e cinematografico (Introduzione e capitolo 12, dove si copre appena la storia del cinema da Ingmar Bergman a Sebastien Marnier, passando per il Peter Weir dell’epocale L’attimo fuggente e il Philippe Falardeau dello splendido Monsieur Lazhar). Non manca il Raimo edito stroncatore di libercoli inutili sulla scuola.

Infine troviamo il Raimo analista delle riforme scolastiche; qui l’autore dà il peggio di sé, come in questo passo: “Quella sui finanziamenti alla scuola sembra una questione che per Ricolfi e Mastrocola è un problema marginale. Nel 1971 quasi un quinto del PIL era investito in istruzione, scuola, cultura e ricerca: chiaramente bisogna considerare che la percentuale di bambini e ragazzi figli del boom era molto alta, e che oggi l’Italia è un paese invecchiato.

Ma nonostante l’Italia sia comunque un paese più ricco e industrializzato, quella percentuale è drasticamente calata, vicina al 6 o 7 per cento. C’è stato un crollo verticale dagli anni dei governi Berlusconi in poi.” (306).

Qui offende il lettore esperto il dato platealmente falso: il governo Renzi (2014-16), successivo ai governi Berlusconi, è l’unico che investe oltre 8 miliardi di euro sull’istruzione pubblica, ma questo Raimo lo sa benissimo e lo nasconde. Quindi c’è il Raimo filosofo della pedagogia che condanna giustamente tutti gli esperimenti di home schooling (capitolo 9).

Conclude il Raimo movimentista che conclude la sua fatica con un commovente “buone lotte” (336) che fa tanto XIX e XX secolo. L’approccio è dunque militante. La molla che spinge la penna di Raimo è senza dubbio quella della passione e del difendere la scuola “democratica e pubblica” dagli attacchi di chiunque la voglia cambiare. Qui avrei dunque visto bene una disamina puntuale sul classismo della scuola gentiliana per arrivare all’analisi delle opposte riforme di Moratti-Gelmini e Giannini.

E avrei preferito che l’autore, anziché soffermarsi sulle inconcludenti sciatterie di Mastrocola & Ricolfi e Galli Della Loggia, dicesse la sua sulle intelligenti — ma divisive — proposte di Walter Tocci, politico non lontano dal pensiero di Tullio De Mauro. E De Mauro per Raimo è all’incirca centrale quanto lo Spirito per Hegel leggi tutto

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