La Commissione prova di nuovo a definire un quadro di regole comunitarie su asilo e ingressi non autorizzati.
Ma per cercare di ottenere l’approvazione dei governi europei sovranisti, il pacchetto allontana la Ue dalla carta dei suoi valori fondamentali.
La lettera di von der Leyen
Ursula von der Leyen ci riprova. Dopo almeno un paio di tentativi di definire un nuovo quadro di regole comunitarie sui temi dell’asilo e degli ingressi non autorizzati (non dell’immigrazione, che è questione ben più ampia e complessa, e rimane in larga parte di competenza degli stati membri), la presidente della Commissione ha pubblicato una lettera ai capi di stato e di governo dei paesi membri con cui prova nuovamente ad assumere l’iniziativa in vista del Consiglio straordinario Ue del 9 e 10 febbraio.
Ogni pacchetto di proposte di von der Leyen sembra spostare la linea dell’Ue sempre più vicino a quella sovranista della chiusura dei confini nei confronti dei profughi provenienti dal Sud del mondo. A cominciare dalla premessa, in cui ha parlato di un forte aumento degli arrivi irregolari attraverso le rotte mediterranee e dei Balcani occidentali nel 2022, con le cifre più alte dal 2016.
Sembra una constatazione obiettiva, nel felpato linguaggio delle istituzioni comunitarie, ma trascura almeno tre elementi: primo, i richiedenti asilo non riescono quasi mai ad arrivare con documenti regolari, tanto che la legge li sgrava da contestazioni legali se ottengono lo status di rifugiati; secondo, il 2022 viene dopo due anni di mobilità limitata causa pandemia; terzo, nel mondo, oltre alla guerra in Ucraina, si protraggono situazioni di conflitto come quella siriana, mentre l’Afghanistan riconquistato dai talebani continua a produrre fuggiaschi, e nel Sahel è aumentata l’instabilità, insieme alla pressione jihadista.
I quattro pilastri della proposta
Tra i quattro pilastri e i quindici punti del piano annunciato, il primo, significativamente, è dedicato a “rafforzare le frontiere esterne mediante misure mirate da parte dell’Ue”. Tra queste, compare la proposta di impiegare fondi comunitari per aiutare gli stati membri “a rafforzare le infrastrutture per il controllo delle frontiere”.
Per parecchi commentatori, significa un cambiamento di linea di Bruxelles in favore del sostegno alla costruzione di muri e barriere, fin qui avvenuta su iniziativa dei governi nazionali, ma senza aiuti comunitari. Per altri, compresa la commissaria per gli Affari interni, Ylva Johansson, la costruzione di muri rimane (per ora) esclusa, ma vi rientrano posti di guardia, strade di collegamento e altre strutture al servizio della sorveglianza dei confini.
Con i consueti artifici retorici, si prevede poi di offrire supporto, sotto forma di attrezzature e formazione, ai governi della sponda Sud del Mediterraneo, al fine di “rafforzare la loro capacità di ricerca e soccorso”. Ossia, tradotto in termini operativi: fornire motovedette e addestramento perché riportino indietro i profughi che cercano di arrivare nell’Ue. È il modello libico applicato su scala più ampia.
Il secondo pilastro, dall’apparenza tecnocratica, parla di “snellimento delle procedure di frontiera”: si tratta in realtà di perfezionare una lista di paesi di origine considerati sicuri, in modo da escludere per principio i loro cittadini dalla possibilità di ottenere asilo, di stabilire hotspot oltre le frontiere dell’Ue, così da obbligare i profughi a presentare lì le loro domande di asilo, di accelerare le procedure di rimpatrio, finora lente e inefficienti.
Il terzo pilastro dovrebbe preoccupare il governo italiano, perché riguarda la prevenzione dei movimenti secondari, ossia dei tentativi di passare dal primo paese di asilo a un altro paese dell’Ue, solitamente più a Nord. Qui pesa il regolamento di Dublino, che impone al primo paese d’ingresso l’onere di valutare le richieste d’asilo.
La menzione di una “solidarietà”, ovviamente “volontaria” e quindi non vincolante, non basta ad attenuare la minaccia di nuovi controlli sulle Alpi e nuovi rinvii verso l’Italia di rifugiati intercettati in altri paesi dell’Ue. I governi del gruppo di Visegrad, nonostante la prossimità ideologica con il governo italiano e l’alleanza in sede Ue, difficilmente si lasceranno commuovere.
Il quarto pilastro riguarda gli investimenti negli accordi per favorire i rimpatri, con paesi come Pakistan, Bangladesh, Nigeria, oltre a Egitto, Marocco, Tunisia. I finanziamenti sulla partita dovrebbero arrivare al 10 per cento dei fondi Ue per l’estero. Tradotto: spostamento di fondi dalla cooperazione per lo sviluppo al finanziamento di governi autoritari perché si riprendano rifugiati e migranti che la Ue non vuole.
Poche le parole dedicate al versante dell’accoglienza: una rapida menzione dei corridoi umanitari e un cenno agli ingressi per lavoro, che diversi paesi stanno cercando di incrementare.
L’Ue in definitiva si allontana dalla carta dei suoi valori fondamentali per favorire un accordo che coinvolga anche i governi più refrattari alla tutela dei diritti umani universali. Il sogno sovranista si sta realizzando anche a Bruxelles.