La sempre più incerta politica estera del post-Pd di Schlein (linkiesta.it)

di

Partito radicale di massa

La segretaria dem appare fortissima sui temi dei diritti civili, ma molto debole nel mantenere una dignitosa posizione filoucraina. L’appoggio a Kijiv viene vissuto dal Nazareno con sempre più evidente fatica, eppure gli atlantisti tacciono

Il post-Pd di Elly Schlein ogni giorno prende la forma di un partito sempre più radicale di massa (Prm). Se l’operazione può avere successo nelle redivive piazze – ancora ieri tantissima gente alla manifestazione milanese di “Libera” per ricordare le vittime delle mafie – pone però seri dubbi sulla direzione intrapresa dalla neosegretaria su temi non secondari come la politica estera (mentre sull’economia il post-Pd sembra ancora a corto di idee) come si è visto ieri nel dibattito al Senato.

Sulla questione più importante di questo momento storico, l’invasione russa dell’Ucraina, c’è da dire che Giorgia Meloni è stata più chiara del documento del Partito democratico: per gli atlantisti veri, per i democratici sinceri, per gli antitotalitaristi seri, è preoccupante ritrovarsi più nelle parole della presidente del Consiglio di destra che nel maggior partito di sinistra (che è comunque oro rispetto al traditore di questi ideali, Giuseppe Conte, e al suo imprevisto alleato leghista).

Naturalmente Meloni ha annegato la chiarezza sull’Ucraina in un lungo comizio nel quale non è mancata un tratto inutilmente  melodrammatico – «Io sono una madre» – e la consueta reticenza sulla strage di Cutro, però ha tenuto con fermezza la barra fissata a suo tempo da Mario Draghi, con apprezzabile uppercut finale a Conte: «Preferisco dimettermi piuttosto che presentarmi al cospetto di un mio omologo europeo con i toni con i quali Giuseppe Conte andò al cospetto di Angela Merkel».

Quanto al Pd, lo avevamo scritto: l’abracadabra di Elly è servito a salvare la faccia pur senza citare esplicitamente l’aiuto militare a Kijiv ma non ha mitigato l’impressione di uno scolorimento della posizione filoucraina vissuta con sempre più evidente fatica.

E sempre ieri – nell’assenza di una posizione più autorevole (a proposito, ma quanto tempo ci vuole a nominare la nuova segreteria?) – la new entry Arturo Scotto, bersaniano tra i più duri e puri, esaltava la protesta popolare francese contro la riforma previdenziale di Emmanuel Macron sostenendo che siamo «alla fine di un grande equivoco: Macron argine della destra populista. Solo una sinistra che riprende la questione sociale blocca ripresa di Le Pen».

Il tweet è interessante perché è un piccolo distillato di quel massimalismo che poco più di cento anni fa, nel 1920-21, agevolò in Italia la presa del potere da parte della destra fascista (la stessa cosa accadde qualche anno dopo in Germania) e che in poche parole si riassume nella vecchia teoria del “nemico principale”, che per i massimalisti di allora e di oggi è il riformismo. Poteva mancare questa nota mélenchoniana nel post-Pd (anche) bersaniano?

Perché è ovvio che la riforma delle pensioni voluta dal presidente francese può non piacere – anche se si assiste a una impressionante regressione culturale per la quale il lavoro è in sé una condanna e non la chiave per l’emancipazione umana – ma come si fa a non vedere che un certo modo di portare avanti la lotta individuando in Macron il nemico principale porta acqua al mulino dell’estrema destra?

Ecco dunque che gli epigoni della sinistra italiana hanno smarrito le lezioni dei padri: il Pci non avrebbe mai gettato l’Italia nelle braccia della destra, anche a costo di pesanti compromessi. Rilegga Togliatti, il compagno Scotto: «Il massimalismo si potrebbe definire una forma singolare della disperazione politica.

Consegue, infatti, allo stato d’animo di colui che non trova uscita alla situazione, si sente del tutto sopraffatto dal rapporto di cose e di uomini che lo circonda, da cui è dominato e ossessionato, e perciò cerca lo scampo in qualcosa di straordinario, di eccezionale, da cui dovrebbe scaturire un miracoloso radicale arrovesciamento».

Attenzione dunque a una deriva che può portare consensi nel breve ma rivelarsi effimera. C’è il rischio che il Pd diventato partito radicale di massa non esiti a soffiare su fuochi e fuocherelli di ogni tipo pur di riconquistare il centro del ring, obiettivo in sé apprezzabile: ma non a qualunque costo.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *