di Massimo Gramellini
Il ministro con delega alla figuraccia del giorno
è quello dello Sport, Andrea Abodi.
Chiamato a commentare su Radio 24 il ritorno nel campionato italiano di Jakub Jankto, primo calciatore di qualche fama ad aver dichiarato pubblicamente la sua omosessualità, Abodi è partito esprimendo rispetto per le scelte personali. Poteva fermarsi lì, e invece no: «Se devo essere altrettanto sincero, non amo in generale le ostentazioni». Apriti cielo, anche perché se c’è una persona che non ha mai ostentato nulla, quella è Jankto, che nel video del coming out si limitò pudicamente a dire che desiderava vivere la sua vita in libertà e con amore.
Anziché inghiottire il rospo delle critiche, il ministro ha avvertito il bisogno insopprimibile di precisare. Ormai abbiamo capito come uno dei guai di questo governo siano le precisazioni, il cui unico effetto è di peggiorare lo strafalcione originale. (Forse la Meloni dovrebbe nominare un sottosegretario unico alle precisazioni, purché non sia Sgarbi).
«Mi riferivo al Gay Pride», ha detto Abodi. Al Gay Pride? Ci faccia capire, ministro: il calcio è un mondo machista dove dai tempi di George Best i giocatori si fanno un punto d’onore di esibire la loro virilità e le collezioni di conquiste femminili, per non parlare delle continue allusioni alle sorelle e alle fidanzate degli avversari. Se lei, come dice, «non ama le ostentazioni in generale», allora dovrebbe prima preoccuparsi di certi eccessi di Etero Pride.