di SILVIA DEL RIZZO, CHIARA MINGOLLA E ELEONORA TRENTINI
Il primo ministro dei Paesi Bassi si è dimesso e non si ricandiderà.
La campagna elettorale per il voto di novembre potrebbe giocarsi su due temi: Green Deal e accoglienza dei rifugiati. Gli effetti saranno significativi anche per tutta l’Unione.
Cosa succede nei Paesi Bassi
Negli ultimi giorni, i Paesi Bassi sono stati colpiti da una crisi politica senza precedenti. Lunedì 10 luglio, infatti, il primo ministro Mark Rutte, leader del Partito per la libertà e la democrazia e in carica da oltre 13 anni, ha annunciato in parlamento che non si ricandiderà per un nuovo mandato e lascerà la politica dopo le elezioni del prossimo novembre. Nel frattempo, rimarrà a capo del governo ad interim e si occuperà del disbrigo degli affari correnti finché non verrà nominato il suo successore.
La crisi politica, consumatasi in meno di una settimana, è incentrata sul tema dell’immigrazione. È una questione piuttosto controversa nei Paesi Bassi sin dallo scorso autunno, quando si sono verificate scene piuttosto preoccupanti in un centro di accoglienza a Ter Apel, nel nord-est del paese: centinaia di richiedenti asilo hanno vissuto per molti mesi all’aperto e in condizioni disumane, fino all’intervento del governo.
La coalizione che componeva il IV governo Rutte era formata dal Partito popolare per la libertà e la democrazia (Vvd), dai liberali del D66, dall’Appello cristiano democratico (Cda) e dai calvinisti dell’Unione cristiana (Cu). A rompere il legame politico sono state le misure volte a inasprire le restrizioni sul ricongiungimento delle famiglie dei richiedenti asilo, con l’obiettivo di limitare il numero di arrivi dopo lo scandalo del sovraffollamento. La spaccatura ha visto su un fronte il partito del premier e quello dei cristiano-democratici, che premevano per l’adozione delle misure, e sull’altro i liberali di sinistra del D66 e il piccolo partito dell’Unione cristiana. Di conseguenza, dunque, si tornerà al voto il prossimo novembre.
La campagna elettorale dei prossimi mesi si giocherà molto probabilmente su due temi, che potrebbero mettere in difficoltà il resto dell’Unione: il primo è quello del Green Deal e dei costi per imprese, agricoltori e cittadini; il secondo è quello, come è facile aspettarsi, dell’immigrazione. Cosa accadrà? Difficile prevederlo. Un potenziale rischio, sia per i Paesi Bassi che per il resto dell’Europa, potrebbe essere quello di una vittoria elettorale da parte dei populisti.
Il rapporto con l’Italia del governo Meloni
Quella dei Paesi Bassi è una delle politiche migratorie più severe e restrittive d’Europa e, nonostante ciò, negli ultimi anni il numero dei richiedenti asilo è salito, toccando gli oltre 47 mila nel 2022. Nel 2023, secondo le stime del governo olandese, si potrebbe arrivare a oltre 70 mila, superando così il picco del 2015. Per quanto riguarda la nazionalità di chi richiede asilo, il 40 per cento proviene dalla Siria, seguito da un 8 per cento dalla Turchia e un 6 per cento dallo Yemen.
Visto il trend in crescita, Rutte ha tentato di inasprire ulteriormente le misure, trovando in Europa il supporto dell’Italia, paese che si trova da anni ad affrontare il problema migranti. La rotta del Mediterraneo centrale, quella che interessa l’Italia e Malta, ha registrato un aumento significativo di migranti irregolari a partire dal 2020, con un picco nel 2022. Infatti dal primo gennaio al 31 dicembre dello scorso anno, i migranti giunti in Italia sono stati 105.131 (in oltre 2.500 eventi di sbarco), un numero ben più alto rispetto a quello dei Paesi Bassi, ma dovuto alla posizione centrale della penisola italiana nel Mediterraneo e alla vicinanza con il Nord Africa e il Medio Oriente. Infatti, nel caso italiano, la maggior parte dei migranti arriva dalla Libia, dalla Tunisia e dalla Turchia.
La posizione della presidente del Consiglio Giorgia Meloni si è trovata in linea con quella olandese su questo tema. Già in campagna elettorale, Meloni aveva affermato di voler difendere i confini nazionali, controllando le frontiere e bloccando gli sbarchi, in accordo con le autorità del Nord Africa. Inoltre, aveva anche dichiarato di sostenere accordi tra Ue e stati terzi per la gestione dei rimpatri di clandestini e irregolari, subordinando le intese di cooperazione alla disponibilità al rimpatrio dei paesi di provenienza.
A marzo 2023, dopo un incontro tra Meloni e Rutte, la nostra presidente del Consiglio aveva affermato: “Italia e Paesi Bassi vivono un momento proficuo nei rapporti bilaterali. Con il primo ministro Rutte abbiamo avuto un approccio concreto sui dossier, mi sono trovata di fronte una persona che ha intenzione di trovare soluzioni e forse con una visione comune sul fatto che la questione migratoria va affrontata partendo dalla difesa dei confini esterni e dalla lotta ai trafficanti, tema che per quanto riguarda l’Italia diviene ancor più rilevante all’indomani della tragedia di Cutro”.
Infatti, in quel contesto, la presidente del Consiglio aveva dichiarato che Italia e Paesi Bassi erano d’accordo sul fatto che il successivo Consiglio europeo dovesse fare passi in avanti in materia migratoria, sul tema della rotta del Mediterraneo centrale e della cooperazione con i paesi africani.
Qualche settimana fa, Meloni e Rutte, insieme alla presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen, si sono recati a Tunisi, per discutere con il presidente Kais Sayed di economia, energia, ma soprattutto di migranti. La Tunisia, infatti, è chiamata a essere uno dei “paesi terzi sicuri” dove far rientrare i migranti espulsi dall’Europa. Tuttavia, il presidente tunisino non sembra essere d’accordo, nonostante l’Unione europea abbia promesso un piano aiuti dal valore di 900 milioni di euro.
Infatti, ha affermato che “accogliere migranti in cambio di denaro è inaccettabile e disumano”. Nonostante l’esito dell’incontro non sia stato proprio positivo, è stato compiuto un primo passo in nome di quell’alleanza con paesi terzi sostenuta sia da Rutte che da Meloni, ma che il primo potrebbe vedere svilupparsi non più come leader dei Paesi Bassi.
L’annuncio dell’uscita di scena di Rutte avrà inevitabilmente effetto oltre il confine olandese e raggiungerà anche l’Ue e l’Italia. Se la nostra presidente del Consiglio perde uno dei suoi più stretti alleati in Europa, i Paesi Bassi, saldamente ancorati ai principi di austerità e rispetto per lo stato di diritto, rischiano ora un’ondata crescente di proteste nazionaliste.
Il lascito di Rutte
L’improvvisa uscita di Rutte dalla politica olandese ha aperto un periodo di profonda incertezza per i Paesi Bassi e per l’intera Unione europea. Il primo ministro, infatti, non è stato un leader qualunque: molti pensavano che un giorno sarebbe stato eletto alla presidenza della Commissione o del Consiglio europeo.
Difatti, è un europeista di grande esperienza, ha costruito una vasta rete di relazioni personali, talvolta alleandosi con i propri avversari e sempre guardando al governo tedesco come bussola politica. Apertura e flessibilità gli hanno permesso di governare con tutti i partiti dei Paesi Bassi: prima con l’estrema destra, poi con una grande coalizione di laburisti, poi con i liberisti e, dal 2021, con partiti di orientamento europeista e progressista.
Oltre alla gestione delle politiche di accoglienza, l’esecutivo uscente lascia ancora molte questioni aperte e un paese sempre più frammentato a livello politico.
Le politiche verdi dell’Unione europea hanno un impatto diretto sui Paesi Bassi, uno dei principali esportatori di prodotti agricoli al mondo. Per raggiungere l’obiettivo richiesto dalla Ue di dimezzare le emissioni di azoto entro il 2030, lo scorso anno il governo ha deciso di intervenire sul principale responsabile, ossia il settore agricolo, imponendo limiti agli allevamenti di bestiame e alle dimensioni delle attività, pena la chiusura. La proposta non è stata ben accolta dagli agricoltori e ha scatenato violente proteste in tutto il paese. L’esecutivo ha anche pianificato di ridurre il traffico aereo sull’aeroporto di Amsterdam, il terzo più grande in Europa, entro ottobre 2024, sempre al fine di contenere le emissioni e mitigare l’impatto ambientale dei voli. Nonostante l’opposizione delle principali compagnie aeree, il piano dell’Aia ha recentemente ricevuto il via libera da parte della Corte d’appello.
A mettere in difficoltà il paese è anche la crisi immobiliare, aggravata dall’aumento dei costi, dalla scarsità di manodopera e dalla riduzione dei permessi edilizi concessi. I Paesi Bassi accolgono ogni anno migliaia di studenti internazionali, che vanno a incrementare ulteriormente la domanda di alloggi e contribuiscono alla crisi abitativa. Consapevoli del problema, lo scorso anno le università olandesi hanno tentato di scoraggiare la partenza degli studenti privi di un alloggio, mentre il ministro dell’Istruzione, Robbert Dijkgraaf, ha intenzione di presentare un disegno di legge dopo l’estate per contenere il numero di corsi offerti in lingua inglese e disincentivare così l’afflusso di studenti stranieri.
Mark Rutte lascia un’importante eredità anche per quanto riguarda le relazioni internazionali. Il suo successore dovrà portare avanti l’accordo siglato lo scorso gennaio con Stati Uniti e Giappone, che mira a limitare ulteriormente le esportazioni di semiconduttori verso la Cina per ragioni strategiche. La multinazionale olandese Asml, una delle più importanti aziende nel settore, è al centro del provvedimento, ma sembra riluttante a rinunciare al vasto mercato cinese.
A livello europeo, il primo ministro olandese è noto per essere il leader informale dei cosiddetti paesi “frugali”, un gruppo di stati membri – Paesi Bassi, Austria, Svezia e Danimarca – che si contraddistingue per l’attenzione al rigore fiscale e il desiderio di limitare la spesa pubblica e il debito nazionale. Rutte ha avuto il merito di assicurare un ruolo di rilievo ai Paesi Bassi all’interno della Ue, nonostante il paese rappresenti meno del 4 per cento della popolazione europea – il quinto, però, in termini di prodotto interno lordo. E negli ultimi anni ha guidato diverse battaglie, contrapponendosi in particolare al governo di Viktor Orban.
Nel 2021, in risposta all’approvazione di una legge discriminatoria nei confronti delle persone omosessuali da parte dell’Ungheria, Rutte è stato uno dei 17 firmatari di una lettera indirizzata al governo ungherese, ribadendo l’impegno europeo nel combattere la discriminazione contro la comunità LGBTQIA+. Il primo ministro uscente aveva anche intimato all’Ungheria di abbandonare l’Unione europea se la legge non fosse stata abrogata. Non è stato l’unico scontro con Orban. Rutte ha svolto un ruolo fondamentale nel condizionare l’erogazione dei fondi post-pandemici al rispetto dello stato di diritto, una decisione che ha colpito direttamente il regime illiberale ungherese.