Mario Corso, morto un talento puro, incompreso dalla critica: si giocò la Nazionale per un gesto dell’ombrello (corriere.it)

di Mario Sconcerti

Era in anticipo sui tempi, un trequartista puro: 
è stato uno dei migliori d'Italia, decisivo come 
Pirlo, maligno come Platini. Ora merita il posto 
che non gli abbiamo mai dato

Per Gianni Brera, Corso era soltanto il participio passato del verbo correre, qualcosa che non gli apparteneva. Brera non amava gli artisti, gli sembravano delle auto-definizioni, parole senza senso compiuto.Lui si definiva un principe della zolla, era dalla terra nuda che tutto doveva nascere. Ma su Corso sbagliava, come sbagliò su Rivera. Corso era anche un atleta, lento, ma fisicamente duro. Non riteneva di aver bisogno di correre, ma non era facile spostarlo. Guardate le fotografie dell’epoca, vedrete muscoli da mezzofondista.

Dicevano che era atipico ed era quello il primo errore. Non si è atipici se si giocano più di quattrocento partite in serie A e si segnano 104 reti in carriera. Un umorale forse, come Platini, ma non un atipico. Corso era un trequartista puro, ruolo che allora non c’era, stava nascendo dalle parti di Rivera ma non era capito.

Allora si andava un po’ a spanne, o eri attaccante o un centrocampista. Bulgarelli, De Sisti avevano la qualità dei fantasisti, ma facevano il lavoro di regia, molto più applaudito dai critici, perché più logico, più normale. Come Mazzola l’attaccante. D’altra parte allora non c’era televisione, nessuno vedeva il calcio, solo Brera e pochi altri. E alla fine eri quello che loro decidevano, anche se non lo eri … leggi tutto

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