L’entrata in scena era la parte più difficile. I francesi lo chiamano le trac, la paura del palcoscenico.
Quei pochi metri prima di raggiungere il pianoforte. A una giovane attrice che sosteneva di non aver mai provato paura in scena, si dice che Sarah Bernhardt abbia risposto: non si preoccupi, arriverà col talento. L’amore che Barbara sentiva per il pubblico, meritava quella paura. Un concerto, per lei, era l’equivalente di un rendez-vous al chiaro di luna. E chi diamine si presenta a un appuntamento senza che gli tremino almeno un po’ le gambe?
Una volta seduta al pianoforte le cose s’aggiustavano. L’applauso si smorzava e spettava a lei domare il pubblico. La paura si trasformava in controllo. In silenzio, in sussurri. Come ci riusciva? Verrebbe da dire: intingendo la penna nel calamaio o, per meglio dire, ponendosi al pianoforte con le stesse intenzioni di chi, seduto allo scrittoio, s’accinge ad aprire il cuore a un amico o all’amata. Molte delle più belle canzoni di Barbara sono confidenze da separè, e molte di queste si presentano sotto forma di lettera.
Per funzionare non devono soltanto colpire l’ascoltatore nell’intimo, ma metterlo nella condizione di sentirsi l’esclusivo ricevente di una confessione. I concerti di Barbara, in fondo, che altro erano se non delle confessioni a cuore aperto? E la sua carriera, che altro è stata se non un’incessante dichiarazione d’amore nei confronti del suo pubblico? … leggi tutto