di CARLO CANEPA
IMMIGRAZIONE
Nel 2022 all’aumento del tempo di trattenimento nei centri di permanenza dei rimpatri è corrisposto un calo del numero dei migranti rimandati nei loro Paesi d’origine
Il 19 settembre è stato pubblicato in Gazzetta Ufficiale un nuovo decreto-legge approvato dal governo Meloni, che tra le altre cose ha esteso (art. 20) fino a 18 mesi la possibilità di trattenere un migrante in attesa di espulsione nei centri di permanenza per i rimpatri (Cpr). Il decreto ha inoltre stabilito (art. 21) che si debba predisporre e approvare un piano per la costruzione di nuovi centri.
I numeri degli ultimi anni mostrano però che all’aumentare dei giorni trascorsi dai migranti all’interno di un Cpr non corrisponde un aumento della possibilità, per questi stessi migranti, di essere rimpatriati nei loro Paesi d’origine.
Secondo i dati più aggiornati raccolti dal Garante nazionale dei diritti delle persone private della libertà personale, tra il 2020 e il 2022 è stato rimpatriato il 50 per cento circa dei migranti che sono transitati nei centri di permanenza per i rimpatri. L’anno scorso sono usciti dai Cpr quasi 6.383 migranti: circa 3.154 sono stati «effettivamente rimpatriati», di cui 2.248 in Tunisia, uno dei pochi Paesi di origine con cui l’Italia ha un accordo per rimpatriare gli immigrati regolari.
Il Grafico 1 mostra quale correlazione c’è stata tra il numero di giorni di permanenza media nei dieci Cpr attivi in Italia nel 2022 e la percentuale di persone rimpatriate sul totale delle persone transitate nei Cpr. Ogni pallino rappresenta uno dei dieci centri di permanenza per i rimpatri. A un estremo, in alto a sinistra, c’è il Cpr di “Caltanissetta-Pian del Lago” in Sicilia: qui l’anno scorso i migranti sono stati trattenuti in media per 15,5 giorni, con una percentuale di rimpatri pari all’87 per cento. All’altro estremo, in basso a destra, c’è il Cpr di “Nuoro-Macomer” in Sardegna: qui la permanenza media è stata di 72,7 giorni, con un tasso di rimpatri pari al 23,3 per cento.
Detto in altre parole, più tempo rimangono i migranti nei centri di permanenza per i rimpatri, più si abbassa il numero di migranti rimpatriati. Come abbiamo spiegato in un altro approfondimento, i rimpatri sono complicati per varie ragioni, tra cui i costi di gestione e gli accordi internazionali. Varie inchieste giornalistiche hanno mostrato le gravi condizioni in cui si sono trovati a vivere i migranti trattenuti nei Cpr.
Nel dettaglio, con il nuovo decreto che ora dovrà essere convertito in legge dal Parlamento, il governo Meloni ha stabilito che un migrante in attesa di espulsione potrà essere trattenuto nei Cpr «per un periodo complessivo di tre mesi», prorogabili di «ulteriori tre mesi» qualora l’accertamento dell’identità del migrante «presenti gravi difficoltà».
Questo «termine complessivo di sei mesi può essere prorogato dal giudice, su richiesta del questore, per ulteriori periodi di tre mesi e per una durata complessiva non superiore ad altri dodici mesi, nei casi in cui, nonostante sia stato compiuto ogni ragionevole sforzo, l’operazione di allontanamento sia durata più a lungo a causa della mancata cooperazione da parte dello straniero o dei ritardi nell’ottenimento della necessaria documentazione dai Paesi terzi», si legge nel decreto-legge. In totale fanno 18 mesi massimi di trattenimento.
Prima dell’approvazione delle nuove norme il limite era fissato a tre mesi, più ulteriori 45 giorni. Quest’ultimi erano già stati allungati dal decreto “Cutro”, approvato in primavera, dai precedenti 30 giorni. Come spiega un dossier della Camera, già il primo decreto “Sicurezza”, approvato dal primo governo Conte su proposta della Lega, aveva portato a sei mesi la possibilità di essere trattenuti nei Cpr, limite poi abbassato a tre mesi dal secondo governo Conte.