Governo eletto dal popolo È la soluzione alle crisi? (corriere.it)

di Milena Gabanelli e Simona Ravizza

La durata media è di 533 giorni. 
Siamo i peggiori in europa

Le proposte in campo: semipresidenzialismo o premierato

Come funzionano i modelli esteri: dalla Francia a Israele

Dal 1946 la durata media dei governi in Italia è di 361 giorni, dal 1994 con la Seconda Repubblica arriviamo a 533. Nei 78 anni di storia repubblicana abbiamo avuto 68 governi e 32 presidenti del Consiglio.

Dal ’94 si succedono 18 governi con 12 premier. Dall’analisi dei dati elaborati dal politologo Marco Improta (CirCaP, Università di Siena) per Dataroom, in Europa siamo proprio i messi peggio. Il problema è che ogni nuovo governo cambia le leggi fatte da quello che l’ha preceduto, creando un contesto che scoraggia le imprese a programmare gli investimenti. E anche per i cittadini è difficile fare progetti se non sa per esempio neppure quando potrà andare in pensione.

Perché si parla di riforma

Da anni si discute su come dare al Paese maggiore stabilità politica. L’Italia è una Repubblica parlamentare: vuol dire che il presidente della Repubblica viene eletto dal Parlamento, e ha funzioni di rappresentanza e garanzia della Costituzione, mentre i cittadini eleggono il Parlamento che deve poi dare la fiducia al governo, il cui presidente del Consiglio è espressione dei partiti di coalizione che vincono le elezioni.

Un modello che la presidente Giorgia Meloni ha definito di «democrazia interloquente», al quale sarebbe da preferire uno di «democrazia decidente». L’urgenza di un cambiamento lo ha messo nel programma di governo presentato in Parlamento con il discorso per la fiducia: «Siamo fermamente convinti del fatto che l’Italia abbia bisogno di una riforma costituzionale, che garantisca stabilità e restituisca centralità alla sovranità popolare. Vogliamo partire dall’ipotesi di semipresidenzialismo sul modello francese».

Il 17 maggio 2023 si svolge un summit di 110 costituzionalisti italiani riuniti al Cnel su iniziativa del nuovo presidente, Renato Brunetta, presente con il ministro per le Riforme Elisabetta Casellati che fa una sintesi dell’incontro: «La preferenza va al premierato». Ipotesi subito condivisa dal leader di Italia viva Matteo Renzi, che per intestarsela il primo agosto presenta in Senato una proposta di legge con la modifica di 4 articoli della Costituzione.

Semipresidenzialismo alla francese

Come funzionano questi modelli e cosa ci insegna l’esperienza dei Paesi dove sono applicati? Il semipresidenzialismo in Europa occidentale ce l’hanno Francia (1958), Portogallo (1976) e Romania (1991), ma è quello francese il modello di riferimento più importante.

Anche lì prima c’era un sistema parlamentare simile al nostro, e i governi duravano in media 6 mesi, poi il generale de Gaulle introduce la riforma costituzionale. Il presidente della Repubblica è eletto dal popolo per un mandato di 5 anni, e condivide il potere esecutivo con il primo ministro, da lui stesso nominato, e con il quale forma il governo. L’Assemblea Nazionale, eletta in un momento diverso, non deve votare la fiducia, ma può sfiduciare il governo, mentre il Presidente può sciogliere l’Assemblea. Sta di fatto che dal ’58 in poi la durata media dei governi si ferma a 494 giorni.

Non è un successo, ma ha un punto di forza che si comprende meglio con l’esempio delle ultime presidenziali in Francia. Ad aprile 2022 Emmanuel Macron vince col 58,54% contro Marine Le Pen al 41,46%. L’Assemblea nazionale invece viene eletta due mesi dopo (giugno 2022), e la coalizione a sostegno di Macron ottiene 245 seggi contro i 289 necessari per avere la maggioranza. Significa che la prima ministra Élisabeth Borne guida un governo di minoranza e che ha difficoltà a legiferare in Assemblea nazionale. Ma anche se il Presidente Macron deve scendere a patti con l’opposizione, resta al suo posto per i 5 anni di mandato, proprio per garantire alla Francia la continuità di indirizzo politico.

Il premierato

Con il premierato gli elettori scelgono contestualmente sia il presidente del Consiglio che i rappresentanti dei partiti che vogliono mandare in Parlamento. Il candidato primo ministro che ha ottenuto più voti deve poi essere legittimato dal Parlamento eletto. L’unico Paese democratico ad aver introdotto questa forma di governo è Israele nel 1992.

Lo scopo è quello di una maggiore solidità, ma in 9 anni Israele va 3 volte al voto: nel 1996 (Benjamin Netanyahu), nel 1999 (Ehud Barak) e nel 2001 (Ariel Sharon). È la dimostrazione che il sistema non porta nessuna stabilità, perché quando i partiti sono tanti succede che i cittadini votano come premier il candidato del partito A, ma poi in Parlamento la maggioranza la raccolgono i partiti B e C. Risultato: per governare servono ampie coalizioni con difficoltà ad andare d’accordo. Nel 2001 il premierato viene abrogato.

La sfiducia costruttiva

C’è poi la sfiducia costruttiva, cioè la possibilità di mandare a casa un governo prima del tempo solo se c’è già la maggioranza per un altro esecutivo. La prevedono la Germania e la Spagna. Anche in Germania come da noi i cittadini eleggono i deputati del Bundestag, che poi sceglie il capo dello Stato con funzioni di natura rappresentativa; ed è lui a proporre il Cancelliere, che viene votato a scrutinio segreto dal Bundestag. A livello federale per due volte si è ricorso al voto di sfiducia costruttivo: con esito negativo nel 1972, e positivo nel 1982, quando Helmut Kohl subentra ad Helmut Schmidt.

In Spagna, monarchia repubblicana dove i cittadini eleggono a suffragio universale le Cortes Españolas che devono poi dare la fiducia al primo ministro proposto dal re, ci sono stati cinque tentativi (1980, 1987, 2017, 2018, 2020), ma solo quello del 2018 ha avuto successo, portando alla caduta di Mariano Rajoy e all’arrivo al governo di Pedro Sánchez. Sarà un caso, ma Germania e Spagna sono i Paesi europei dove i governi durano di più, rispettivamente 1.108 giorni e 944.

Se in Italia ci fosse la sfiducia costruttiva, chi innesca la crisi, da Bossi a Bertinotti, da Mastella a Renzi, avrebbe dovuto trovare in tempi rapidi una figura alternativa dentro al Parlamento e con il consenso del Parlamento, senza mandare il Paese a nuove elezioni, fare ribaltoni o ricorrere al tecnico esterno. Ad ogni modo se dovessimo decidere di cambiare forma di governo è necessaria la modifica di diversi articoli della Costituzione. Dei tre modelli esposti, quello che impatta di meno sulla nostra Costituzione e sul sistema parlamentare italiano è la sfiducia costruttiva.

Le cause della caduta dei governi

Le cause di caduta anticipata dei governi in Italia sono di varia natura. Per 30 volte è scatenata da conflitti tra i partiti che formano la coalizione. Se ci fermiamo agli ultimi 30 anni sono questi i casi più noti: Umberto Bossi fa saltare il governo Berlusconi I (1994), Fausto Bertinotti è l’artefice della crisi del governo Prodi I (1998), e poi Clemente Mastella abbatte Prodi II (2008).

Per 8 volte è provocata da conflitti all’interno del principale partito della coalizione. Un esempio è l’avvicendamento tra Enrico Letta e Matteo Renzi nel febbraio 2014. Per 12 volte la causa nasce dall’incapacità dei governi di rispondere agli choc esterni, come nel caso del quarto governo Berlusconi (2011), minato dall’esplosione della crisi del debito e dal rischio declassamento dell’Italia.

Dal 1946 a oggi solo 14 volte si è andati al voto per fine naturale della legislatura. Non basterà dunque cambiare forma di governo per dare maggiore stabilità, senza curare prima la malattia genetica dei mille partiti che devono governare la coalizione, poiché è proprio la loro litigiosità cronica a generare quella instabilità del potere esecutivo che da 78 anni condiziona la vita politica del Paese.

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