di Damiano Aliprandi
Via D’Amelio, contro la verità di Trizzino le barricate di partiti e giornali
Accuse indirette a Lucia Borsellino e al suo legale dopo la loro audizione in Antimafia. La distorsione dei fatti da parte di alcuni parlamentari e l’idiosincrasia per il dossier mafia-appalti
In un articolo de Il Fatto Quotidiano, con un titolo chiaro, si accusa indirettamente Lucia Borsellino, figlia del giudice ucciso nella strage di via D’Amelio, e l’avvocato Fabio Trizzino, legale della stessa Lucia, di Manfredi e Fiammetta Borsellino, di depistaggio, perché – innanzi alla commissione antimafia presieduta da Chiara Colosimo -, collegano la strage all’interesse di Borsellino per il dossier mafia-appalti.
In sostanza muovono tale accusa perché questa pista (in realtà confermata in tutte le sentenze sulle stragi di Capaci e di Via D’Amelio, compresa la sentenza di secondo grado sulla trattativa Stato-mafia e l’ordinanza “Mandanti occulti bis”), servirebbe per coprire altre piste. Poco importa sapere che parliamo di tesi sconfessate dalle sentenze o pluriarchiviate poiché non contenevano alcuna prova tangibile, ma soltanto suggestioni.
Piste che continuano a essere chiuse e riaperte e avvallate dai media e da trasmissioni in prima serata come Report. Tesi riprese nella scorsa commissione parlamentare antimafia, e che la componente grillina (ma a quanto pare anche del Pd), vuole riproporre.
L’avvocato Trizzino ha prodotto i documenti
Fa impressione notare la mancanza di argomentazione contro il legale dei figli di Borsellino. In tutte e tre le sedute, comprese le risposte alle domande ostili (caso unico) avanzate dai commissari del Pd e del M5S, l’avvocato Trizzino ha snocciolato dati documentali. Eppure nell’articolo de Il Fatto si ripropone la versione dell’ex procuratore Roberto Scarpinato esposta da lui stesso sotto forma di mezzora di domande in commissione.
Viene da pensare che forse non si è avuto modo di recepire appieno l’audizione. Ed è comprensibile, visto il lavoro monumentale basato su migliaia di documenti, che certamente non sono delle novità per chi ha studiato, ma sconosciuti alla moltitudine di persone ignara perché “deviata” dai teoremi decisamente più attrattivi, ma fuori dalla realtà dei fatti.
Il dem Provenzano ricordò Bordin ma dimentica i fatti
Ma questa mancata conoscenza dei fatti vale anche per i componenti della commissione. Soprattutto da parte del Pd. A parte la legittima difesa di ufficio del senatore Pd Walter Verini nei confronti di Scarpinato, crea sorpresa l’intervento del deputato Giuseppe Provenzano. Per minimizzare la questione del dossier mafia-appalti, ha insistito più volte sull’episodio del generale Antonio Subranni definito “punciutu” (affiliato a Cosa nostra), senza aver compreso appieno cosa intendesse Borsellino. Ma soprattutto, se pensa che il giudice stritolato in Via D’Amelio credesse al personaggio – mai individuato – che gli fece quella surreale confidenza in Procura, allora indirettamente si sta dando dell’incompetente a Borsellino.
Chi conosce minimamente l’ideologia mafiosa sa che mai e poi mai Totò Riina e Cosa nostra in generale, avrebbero affiliato uno “sbirro”. Al massimo può essere comprato, ma mai affiliato. Soprattutto Subranni che non solo fu il primo a individuare l’avanzata dei “corleonesi” tanto da essere elogiato da Falcone e Borsellino nella sentenza ordinanza del maxiprocesso, ma fu il primo a mettere nel ’77 le manette ai polsi di Bagarella. Chiaro che Paolo Borsellino ebbe i conati di vomito quando l’interlocutore gli fece quella affermazione. Chiaro che ha visto “la mafia in diretta”. Parliamo di un clamoroso tentativo di delegittimazione nei confronti dell’arma. E questo il giudice lo aveva ben compreso.
Poi Provenzano pone all’avvocato Trizzino la domanda su Gladio e soprattutto su Lo Cicero, quindi la pista nera. Ovviamente, l’avvocato Fabio Trizzino, che ha una conoscenza immensa, ha restituito al mittente quelle surreali domande attraverso atti inconfutabili. Eppure Provenzano, l’ex ministro del Conte due, scrisse sul Manifesto anche un bell’editoriale in ricordo di Massimo Bordin, quindi dovrebbe averlo seguito e dovrebbe sapere che tali tesi sono completamente fuorvianti, non aderenti alla realtà. Non si può confondere Bordin con Il Fatto o Antimafia2000 degli alieni. Ricorda molto da vicino il leghista Matteo Salvini quando disse di amare le canzoni di Fabrizio De Andrè.
Grazie alla presidente si parla di mafia-appalti
Ma ritorniamo alle tesi depistanti. I danni che continuano a fare sono evidenti. Il caso di scuola è proprio la testimonianza del maresciallo Carmelo Canale, braccio destro di Borsellino. Il Fatto Quotidiano, ma anche taluni componenti della commissione antimafia, dicono che l’incontro segreto di Borsellino con gli ex Ros del 25 giugno 1992 è stato fatto per la vicenda “Corvo 2”.
No, non è così. E non era nemmeno perché Borsellino pensava che fossero loro gli autori. Vero che Canale, al processo Trattativa, dirà più o meno questo. Ma è chiaramente un ricordo traviato dal teorema del momento. Non è colpa sua. Il 24 marzo 1998, innanzi al tribunale, dirà invece episodi precisissimi e molto particolareggiati.
Cose che, tuttora, solo gli addetti ai lavori conoscono. Per la prima volta se ne parla in una commissione antimafia grazie all’audizione dell’avvocato Trizzino. E di questo va ringraziata Chiara Colosimo, che ha saputo gestire una situazione complicata nell’ultima audizione.
Come si evince chiaramente dalle dichiarazioni di Canale, l’incontro non era per il Corvo, ma per la lettera anonima che fu mandata a Catania per dire all’allora procuratore Felice Lima di ascoltare il geometra Giuseppe Li Pera per la questione mafia-appalti. Questa lettera era stata trasmessa anche alla procura di Palermo e qualche magistrato palermitano aveva messo in giro la voce calunniosa che l’autore fosse De Donno. Ebbene, come dice in tribunale Canale, il giudice Borsellino non credeva a quelle voci, per questo ha preferito incontrare i Ros fuori dalla procura, lontano da occhi indiscreti di alcuni suoi colleghi.
In fondo, che l’incontro fosse per il dossier mafia-appalti, questo lo dice al Borsellino bis anche l’ex pm Antonio Ingroia, così come lo testimonia il magistrato Stefano Manduzio al processo Mori-Obinu. A proposito di quest’ultimo, a pagina 35 della trascrizione, ecco un passaggio chiaro: “mi disse che vi era…, avrebbe provveduto personalmente (questione mafia-appalti, ndr) e lo avrebbe fatto…, adesso non ricordo bene se mi disse che aveva già fissato…, aveva già concordato…, fissato insomma un appuntamento, o doveva fissarlo, adesso questo francamente non lo ricordo, ma comunque doveva essere fissato un appuntamento, un incontro al di fuori della Procura di Palermo, presso una sede dei Carabinieri, insomma, per questo specifico motivo, cioè per riprendere questi rapporti con il Ros”.
Cosa aveva borsellino nella borsa quel giorno?
Infine, sempre l’articolo de Il Fatto riporta anche l’altra tesi sostenuta da Scarpinato in audizione, ovvero che il depistaggio di Via D’Amelio non può avere a che fare con mafia-appalti, visto che la gestione anomala di Scarantino è avvenuta nel 1994, quando oramai ci furono gli arresti degli imprenditori coinvolti nel dossier. In realtà il depistaggio vero, quello cruciale, è avvenuto nei primissimi momenti della strage. Tuttora non è chiarito cosa avesse Borsellino nella sua borsa, rimasta per tre mesi a Palermo. Ancora non è chiaro cosa contenesse.
Oltre l’agenda rossa, aveva con sé anche delle carte (in parte verbalizzate, ma che ad oggi non ne consociamo il contenuto). Oggi sappiamo, grazie allo studio attento dell’avvocato Trizzino, leggendo le carte del Csm tenute nascoste per trent’anni, che aveva con sé almeno il fascicolo di Mutolo (ma non solo). Non è un dettaglio da poco. Esiste un verbale di acquisizione di quel fascicolo e altre carte? Sarebbe doloso non averlo fatto.
Borsellino aveva raccolto documenti per potarli alla procura di Caltanissetta. Di certo non si sarebbe presentato con la sola agenda rossa. Per qualsiasi delitto mafioso nei confronti degli uomini appartenenti alle autorità giudiziarie, la prima cosa è scoprire su cosa stavano indagando. È lì che si scopre il movente. Qualcuno lo ha voluto occultare fin da subito?