Attenti a quei due
Slovacchia e Ungheria fanno ostruzionismo sugli aiuti a Kyjiv: manca l’accordo sui cinquanta miliardi di euro in tre anni proposti dalla Commissione europea
Nemmeno il tempo di salutare il suo compagno di veti al Consiglio europeo, il polacco Mateusz Morawiecki in procinto di essere sostituito, che il primo ministro ungherese Viktor Orbán potrebbe già avere un nuovo alleato per le sue strategie ostruzionistiche nei tavoli negoziali dell’Ue. È il neo-premier slovacco Robert Fico, che al contrario di Orbán proviene dal centro-sinistra, ma che con il leader ungherese sembra condividere almeno un paio di nette prese di posizione: la linea anti-migranti e l’opposizione agli aiuti militari all’Ucraina.
Niente armi slovacche
Come biglietto da visita al Consiglio europeo del 26-27 ottobre, Fico ha annunciato nel primo giorno del suo mandato che la Slovacchia non invierà più forniture militari a Kyjiv.
La cosa non dev’essere piaciuta alla presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen, che gli aveva augurato buon lavoro facendo riferimento proprio al supporto all’Ucraina, ma non è altro che il compimento di una promessa esplicita fatta in campagna elettorale.
Fico è contrario al supporto militare, proprio come Orbán: l’Ungheria non ha mai concesso armi a Kyjiv in maniera diretta, ma di fatto ha contribuito ad armare l’esercito ucraino sottoscrivendo i versamenti dallo European Peace Facility, lo strumento utilizzato dall’Ue per finanziare operazioni militari fuori dai suoi confini.
Il supporto erogato tramite l’Epf ammonta finora a 5,6 miliardi: l’Alto rappresentante per gli Affari esteri Josep Borrell ha proposto una nuova tranche da cinquecento milioni, ma Budapest la blocca, a causa dell’inclusione della banca ungherese Otp Bank in un elenco di «sponsor internazionali della guerra» redatto dalle autorità ucraine.
Come ogni decisione di politica estera, i finanziamenti dell’Epf richiedono l’unanimità da parte dei Paesi membri dell’Ue, che finora ha faticato non poco a convincere di volta in volta il governo ungherese ad approvare gli esborsi: un «doppio veto» di Budapest e Bratislava sarebbe ancora più difficile da aggirare.
Budapest e Bratislava: le capitali controcorrente
La defezione ungherese e slovacca dalla linea europea sull’Ucraina potrebbe, inoltre, non fermarsi agli aiuti militari e includere il supporto tout court che l’Ue fornisce al Paese.
A giugno 2023 la Commissione europea aveva proposto di versare cinquanta miliardi di euro all’Ucraina nei prossimi tre anni, di cui diciassette a fondo perduto e trentatré in prestito. L’iniziativa rientra in una complessiva richiesta di aumento del bilancio comunitario per il periodo 2024-2027 fatta agli Stati europei, che sta incontrando non poche resistenze.
Se ne è parlato all’ultimo vertice dei capi di Stato e di governo, che però hanno deciso di rimandare la questione: l’obiettivo, come si legge al punto 20 delle conclusioni del summit, è risolverla entro la fine dell’anno.
Ma non sarà facile, in primis perché anche l’aumento del budget dell’Ue richiede l’assenso di tutti i suoi Stati membri, e Ungheria e Slovacchia sembrano molto scettiche. Fico ha subito messo le mani avanti: «L’Ucraina è uno dei Paesi più corrotti al mondo e il suo sostegno deve essere condizionato al fatto che i soldi europei non vengano utilizzati in modo sbagliato», il senso del suo intervento sul tema al vertice.
Orbán probabilmente non sarà meno difficile da convincere: non solo perché sembra sempre più determinato a mantenere una posizione “equidistante” nel conflitto russo-ucraino, ma anche perché secondo molti potrebbe utilizzare il suo assenso all’aumento di budget come leva negoziale per sbloccare i pagamenti del Piano nazionale di ripresa e resilienza ungherese (5,8 miliardi di cui a Budapest non hanno visto un centesimo) e di altri fondi comunitari che gli spetterebbero.
La possibile resistenza slovacco-ungherese, comunque, non è l’unico ostacolo. I Paesi del Sud Europa sono favorevoli all’incremento di bilancio per foraggiare Kyjiv, ma vorrebbero legarlo ad altre «aggiunte» proposte dalla Commissione, tra cui quindici miliardi per la questione migratoria e dieci per la competitività delle imprese europee nelle tecnologie strategiche.
In una lettera firmata da Italia, Francia, Croazia, Slovenia, Portogallo, Grecia, Malta e Cipro, si chiede anche di accantonare fondi sufficienti per una non meglio precisata «riserva di solidarietà ed emergenza». Fonti diplomatiche chiariscono a Linkiesta che il governo italiano punterà a un accordo complessivo sul bilancio, in contrasto con alcuni Stati nordeuropei che vorrebbero accordare l’aumento previsto per l’Ucraina senza impegnarsi sul resto.
La trattativa proseguirà nei prossimi mesi, con le consuete difficoltà del caso, accentuate dal fatto che mettere d’accordo ventisette governi è ancora più difficile quando si tratta di soldi in più da versare nelle casse comunitarie. L’esito del negoziato potrebbe essere vitale per l’Ucraina, che al momento deve accontentarsi del sostegno europeo «sulla carta», ribadito in ben quattordici punti delle conclusioni del vertice e dalle parole dei vertici delle istituzioni Ue.
A seguire, forse, arriveranno anche i soldi.