di Cesare Panizza, Leslie Hernandez, Antonio Becchi, Barbara Bertoncin
Intervista a Catherine Camus
Albert Camus che riesce a essere letto anche dalla gente semplice in tutte le parti del mondo, ma il cui pensiero continua a essere malvisto dall’accademia e dalla politica; la possibilità per ognuno di fare, di essere libero, ma nella propria misura; un pensiero antitotalitario che costrinse Camus a una solitudine dolorosa; la grande figura della madre, lo zio sordomuto, l’Algeria amatissima e la malattia che lo colpì da ragazzo. Intervista a Catherine Camus.
Per la politica? È molto semplice, Camus non esiste. E con la sinistra è quasi peggio che con la destra. Questo è chiaro e netto. Nel 2013 i francesi, che pure adorano le commemorazioni -sono noiosissime, ma a loro piacciono- non hanno fatto proprio nulla. L’unico è stato Nicolas Sarkozy che voleva mettere papà nel Panthéon, e meno male che mio fratello ha detto di no perché io avevo detto sì.
Ma avevo ricevuto tantissime lettere che mi avevano chiesto di dire sì. E si capiva che erano della stessa estrazione sociale di papà, erano dei poveri. Racconto quest’episodio: uscivo dall’Eliseo per andare al Panthéon, e col tassista non so come è venuta fuori la cosa della commemorazione, perché lui mi dice: “Le commemorazioni ci fanno campare alla grande, ci fanno comodo e a loro piacciono”, e io: “Ah, no, non mi parli di commemorazioni, che rottura”. E lui: “Perché, lei è nel settore delle commemorazioni?”, e io: “Dio me ne scampi, non c’entro nulla, ma è il cinquantenario della morte di mio padre, che era una persona nota, e lo vogliono commemorare e questo mi scoccia”.
Dice: “Cinquant’anni dalla morte? È morto nel Sessanta?”. E io: “Beh, sì”. “Ma non sarà mica Albert Camus?”. E io: “Eh, sì”. “Signora, lei non può immaginare quanto io sia commosso, non può, perché per me Camus è… lo leggo continuamente, e come parlava di sua madre! … leggi tutto