di NICOLA PUCCI
I più autorevoli, ancorché attempati, storici del pugilato considerano unanimamente John “Jack” Johnson se non il peso massimo più forte di sempre, sicuramente uno dei tre migliori, al pari di Cassius Clay e Joe Louis.
E ne hanno ben donde.
Perché stiamo pur sempre parlando di un campionissimo che se è vero che non ha potuto avvalersi del conforto delle immagini televisive bensì solo dei racconti di chi ha avuto la ventura di vederlo esibire, nondimeno ebbe l’onore di fregiarsi del titolo di numero 1 del mondo e assurgere al rango non solo di idolo universale all’epoca dei pionieri della boxe ma anche di simbolo nella lotta all’emarginazione razziale.
C’è tanto, ma proprio tanto nella vita di Johnson, che vede la luce il 31 marzo 1878 a Galveston, nel Texas, secondo dei sei figli di Henry e Tina, due ex-schiavi liberati durante la guerra civile e impiegati come bidello, lui, e lavastoviglie, lei. E in virtù dell’estrazione sociale il giovane Jack, che ben presto lascia la scuola, comincia a fare a pugni nelle battle royal, ovvero gli incontri disputati da neri per un pubblico di bianchi, evidenziando doti non comuni.
Eppure, a dispetto dell’umile origine, proprio con i ragazzi bianchi Jack familiarizza da adolescente (e da adulto darà uno strattone decisivo alle convenzioni dell’epoca sposando, lui di colore, tre donne bianche), condividendone gli stenti di una vita travagliata, e, peso massimo naturale com’è in virtù di una stazza che all’apice della forma fisica dice 184 centimetri per 90 chilogrammi, pare che debba a un certo Walter Lewis, conosciuto a Dallas e che per campare dipinge carrozze, il suo avviamento alla boxe che conta … leggi tutto