La sinistra e i voti smarriti (corriere.it)

di Aldo Cazzullo

Europa e Italia

Non è vero che l’Europa sia pervasa da un’onda nera. In Germania c’è un cancelliere socialdemocratico, in Francia un presidente centrista che viene dal Ps; nel Regno Unito i laburisti sono nettamente in testa ai sondaggi in vista delle elezioni del 2024, in Spagna il socialista Sánchez sta per formare il nuovo governo. In Italia accade qualcosa di strano. L’esecutivo perde colpi.

Ma il principale partito dell’opposizione, il Pd, non cresce, anzi scende al 18%, sotto il risultato — modestissimo — delle politiche. E pochi considerano la sua leader, Elly Schlein, come un’alternativa credibile a una Giorgia Meloni che pure attraversa le sue difficoltà.

Il punto è che in Germania il cancelliere Olaf Scholz si è presentato come l’erede naturale di Angela Merkel, dopo che il suo predecessore Spd Gerhard Schröder aveva vinto due elezioni di fila con lo slogan «Die Neue Mitte», il nuovo centro. A Londra Keir Starmer ha posto fine alle follie estremiste — e antisemite — di Jeremy Corbyn e di fatto ha riallineato il Labour sulle posizioni del vituperato Tony Blair, uno che ha vinto tre elezioni di fila.

Emmanuel Macron non è di sinistra, ma è arrivato due volte all’Eliseo battendo nettamente Marine Le Pen grazie ai voti dei riformisti. Pedro Sánchez ha rintuzzato la concorrenza interna di Podemos grazie a una coraggiosa politica sociale, ma il Psoe è fortemente radicato al centro della società spagnola.

E lly Schlein sembra aver scelto un’altra linea. Non che sia una pericolosa estremista. Ma non appare consapevole dell’esigenza di recuperare voti dall’altra parte. Si muove come se la priorità fosse allargare il proprio bacino elettorale a sinistra. E in effetti esistono una narrazione, un mito, una leggenda che favoleggiano di sterminate riserve di voti: delusi, traditi, astensionisti, distratti…

In realtà, questa riserva di voti a sinistra non esiste, o comunque non è più abbondante di un bacino nella stagione della siccità. Dal 2008 a questa parte, a ogni turno elettorale la sinistra radicale si colloca tra il 3 e il 4%. Certo l’astensionismo cresce, ma non è detto che sia la battaglia per i diritti civili, per quanto condivisibile, a mobilitare chi non crede più nella politica, o non ci ha mai creduto.

La sinistra in Italia è storicamente minoritaria. Ha vinto o comunque è stata competitiva quando è riuscita a sottrarre anche solo una frazione di voti al centrodestra: cosa che finora è riuscita solo a un cattolico come Romano Prodi, e in parte al vituperatissimo Matteo Renzi, prima che venisse travolto dai suoi errori.

Ovviamente la Schlein non può trasformarsi in Prodi. Sarebbe ridicolo se si presentasse diversa da quello che è. È stata scelta anche per avvicinare alla politica i giovani, le minoranze, i militanti che nel Pd non si riconoscevano più. Però dovrebbe stare attenta a non disfare quello che il Pd è diventato: un partito di ceti medi.

Certo, la sinistra ha il problema di riconquistare le classi popolari. La regione più operaia d’Italia, il Veneto, è anche quella in cui la sinistra è più debole. A Roma il Pd è primo partito ai Parioli e in altri quartieri borghesi, e fatica nelle borgate. I poveri del Sud seguono più facilmente Conte o la stessa Meloni. Ma l’esigenza di parlare ai ceti popolari non è in contraddizione con quella di tutelare gli interessi del ceto medio dipendente e dei pensionati.

La Schlein oggi non sta facendo né una cosa, né l’altra. Oggi il Pd sembra promettere solo nuove tasse. Ma in questo modo non recupererà il voto popolare, e finirà per spaventare gli italiani a reddito fisso, impoveriti dal fisco e dall’inflazione e beffati dagli evasori.

Tenere insieme la protezione sociale, l’allargamento dei diritti civili e la tutela di coloro che di tasse ne pagano fin troppe: non è un gioco di prestigio, è l’unica chance che il Pd ha di tornare primo partito. Il «campo largo» verrà dopo, non prima. Una forza riformista in crescita e credibile per il governo troverà tutti gli alleati che vorrà, da Calenda ai 5 Stelle, dalla Bonino a Fratoianni.

Un partito diviso e velleitario si avviterà su se stesso e non rappresenterà mai un’alternativa seria alla destra.

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