L’allarme argentino ci riguarda (corriere.it)

di Aldo Cazzullo

La vittoria di Milei

L’uomo con la motosega minaccia pure noi. Il populismo non è morto né domato; è più vivo che mai, e va al potere nel Paese che ci somiglia di più, che è la nostra immagine riflessa e rovesciata nello specchio: l’Argentina.

Il Brasile ha voluto sperimentare Jair Bolsonaro; l’Argentina farà lo stesso con Javier Milei. Uno strano populista che mescola la rivolta contro il sistema — la motosega gli serve per dissezionare la «casta», le élites, l’establishment, le istituzioni, i partiti tradizionali, financo la Banca centrale — con un iper-liberismo economico che potrebbe rilanciare il Paese, ma anche dargli il colpo di grazia.

Il voto a sorpresa di Buenos Aires dice molte cose pure a noi.

L’Argentina è l’Italia dell’altro emisfero, e non solo perché nessuno ha mai conosciuto un argentino che non avesse almeno un nonno italiano: neppure Milei fa eccezione (se per questo neppure Bolsonaro, paulista di origini padovane), mentre il suo rivale Sergio Massa è proprio tecnicamente italiano, figlio di Alfonso, siciliano di Niscemi, e di Luciana Cherti, triestina.

Di tutti i Paesi latinoamericani, l’Argentina è il più europeizzato. Anche se noi europei oggi non abbiamo idea di cosa significhi vivere con un’inflazione al 142%. Significa, appena incassato lo stipendio, doverlo cambiare in dollari (in dollari sono stimati anche i prezzi delle case: la «dollarizzazione» proposta da Milei in fondo fotografa la realtà). Significa non poter importare pressoché nulla.

Chi ha soldi li spende, infatti i ristoranti sono pieni; chi non ha soldi, cioè quasi un argentino su due, fa la fame. Una sorte sinistramente simile a quella che rischierebbe l’Italia, se non avessimo in tasca l’euro, cioè la moneta dei tedeschi, e il nostro crescente debito pubblico non fosse di fatto garantito dalla Bce.

L’Argentina non è soltanto la stupenda suggestione letteraria di Francesco Guccini («l’Argentina è solo l’espressione di un’equazione senza risultato/ come i posti in cui non si vivrà, come la gente che non incontreremo/ tutta la gente che non ci amerà, quello che non facciamo e non faremo…»). L’Argentina è un memento anche per noi; altro che «Italexit».

I peronisti, nettamente sconfitti domenica, non sono certo innocenti. Quando l’economia va a rotoli, candidare il ministro dell’Economia — com’era Sergio Massa — non è una grande idea. Il peronismo è un fenomeno complesso, difficile da inquadrare nelle categorie di destra e sinistra. Di sicuro la sorpresa di Buenos Aires rappresenta un problema non solo per la sinistra, che non riesce più a parlare alle classi popolari, ma anche per la destra liberale, moderata, ragionevole.

Una destra che in Sud America ha espresso uomini come Fernando Enrique Cardoso, vero artefice del boom economico brasiliano. Come Mario Vargas-Llosa, il più politico tra i grandi Nobel per la letteratura, padre di Álvaro, autore del «Manuale del perfetto idiota latino-americano», la più divertente satira del progressismo.

E come lo stesso Mauricio Macri, primo presidente conservatore eletto dagli argentini (nel 2015), che era un imprenditore di successo, storico presidente del Boca Juniors, insomma un esponente dell’establishment; e non ha mai impugnato una motosega. Ora al fianco di Milei ritorna, con la sua vice — Victoria Villaruel, apologeta della giunta militare —, il fantasma della dittatura, ovviamente non più nelle forme della violenza sanguinaria, ma in quelle non meno dolorose del negazionismo o almeno del riduzionismo.

L’Argentina è un Paese importante anche per altri due motivi. È il Paese del Papa. Milei ha detto di Francesco cose orribili, in parte ritrattate quando ha capito di poter davvero diventare presidente. Bergoglio non può essere certo rinchiuso nella categoria del peronismo, tanto più che è sempre stato critico con la presidenza corrotta di Cristina Kirchner.

Ma è il primo Papa a venire da un Paese povero, a parte forse la Polonia comunista di Wojtyla; e certo il suo discorso sulla povertà non è nelle corde del turbo-liberista Milei (anche se in Argentina qualcuno si aspettava dal Pontefice che sostenesse in modo diretto il popolo, come aveva fatto Wojtyla che si occupava pure del finanziamento di Solidarnosc).

Il secondo motivo per cui l’allarme argentino riguarda tutti è che tra meno di un anno si vota negli Stati Uniti d’America. E l’onda populista sospinge l’incredibile ritorno di Donald Trump, cui all’evidenza il suo elettorato ha perdonato ogni cosa, anche aver aizzato la folla che ha invaso il Parlamento. Poi ognuno è libero di pensarla come vuole: che con Trump di ritorno alla Casa Bianca ricco e spietato come il conte di Montecristo possa scoppiare la terza guerra mondiale; o che al contrario Putin e Hamas deporranno le armi.

Sarebbe curioso capire anche se Giorgia Meloni auspica il ritorno di Trump e in genere avverte il richiamo della foresta populista e anti sistema, o se si sente ormai la leader dei moderati italiani.

Di sicuro la storia, che sembrava placata e addomesticata dai Macron e dagli Scholz, dai Biden e dalle von der Leyen, insomma dai centristi, torna a farsi più bizzarra e incerta che mai. Per questo, non chiediamoci per chi risuona la motosega di Milei; essa risuona per noi.

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