La preghiera di Alessandro Bergonzoni per la pace: “Con le mani appena giunte” (repubblica.it)

L’appello dell’attore ai capi religiosi in 
occasione della manifestazione a Bologna

In questa manifestazione organizzata dal Portico della Pace di Bologna e da altre associazioni, mi rivolgo a lei Lafram capo della comunità islamica, a lei De Paz presidente della comunità ebraica di Bologna e a lei Cardinale Zuppi, da tifoso dell’unica squadra che seguo, l’Inter religioso: lo faccio per ripetere ciò che dico da tempo: religioni scambiatevi le fedi per sposare un’idea, quella della Pace, per coniugare, come fanno già tante vittime “civili” apparentemente avverse, torto e ragione e viceversa (che è il contrario di ogni vendetta mai giustamente degna), in questa occasione che non vorrei più unica ma abituale, anche e soprattutto durante la pace se tornerà e per una totale alterità.

Il contrario di guerra non è pace ma amore. Il contrario di amore non è odio ma morte, il contrario di civili è vili militari. Il contrario di vita non è morte ma violenza, paura di essere convertiti e brama di convertire. Il contrario di stupro continuo è disarmo di tutti gli uomini. Facciamo come stanno facendo tanti padri e tanti madri che non dividono la terra in parti, ma uniscono i propri bambini nati differenti ma morti gemelli. Veri parenti di sangue, versato, figli d’ognuno di noi esseri gemelli, uniti da una linea di “nonfine” che non è l’identità ma l’identicità assoluta.

Dico spesso che si uccide con la mano destra e con la mano sinistra ma anche con la terza mano la mancanza (di mediazione, trattative, ascolto, perdono, visione, sovrumanità e bene). Allora prendete nelle vostre mussulmani le nostre mani e anche le ottomani, perché non c’è una sola stella blu ma anche una verde accanto alla mezza luna, e non fateci una croce sopra, cancellando tutto, tenetela vicino come un segno “più” che si somma agli altri e a tutto: il sommo e il sacro d’ognuno. Stanno nello stesso cielo sopra lo stesso pianeta, da occidente a oriente (se non diventa la stessa guerra, con gli stessi prigionieri, gli stessi moventi, rancori atavici e pretesti).

Che non si dica più che c’è qualcosa sotto, stanchi di non vedere niente di nuovo sotto il sole: è solo perché non sappiamo ancora guardare sopra ad esso. Liberiamo ogni ostaggio di ora e quelli di sempre, non ostruiamo, costruiamo. Magari una sinagoga dentro ad una chiesa che stia in una moschea. Architettura divina arte del cosmo. La memoria del passato di ogni popolo è importante certo, ma necessaria come l’evitare la moria e cominciare a cooperare sulla memoria del futuro.

Fatelo anche voi, non solo per favore o per piacere, per mercati, strategia e potere,ma per diritto e bellezza universale. Credere? Ognuno al proprio grande Chi. Obbedire? Meglio dire istruire, custodire, capire, restituire, lenire, favorire e senza più ire. Combattere? Meglio nonbattere. C’è solo un organo che batte continuamente senza uccidere nessuno o vincere si chiama cuore. Questo ci convinca (la scienza conferma che lo abbiamo tutti uguale ,con nessuna bandiera piantata nel costato, come quelle che non ci sono a Bologna, se non bianche o arcobaleno, che nasce da quel bianco che non è resa ma rende l’idea).

Si chiama cuore? Chiamiamolo anche noi, risponderà. È questione poetica non etica. Non si può più aver paura allora di essere versi, versetti e fatti di versi. Questione di stile non ostile. Questo riguarda tutti i popoli in guerra da sempre, ma riguarda pure noi anche se non in guerra (?) e quel che ci riguarda ci sta dicendo che per un po’ ci riguarda ancora poi non ci riguarderà più. Le troppe ossessive distinzioni portano all’estinzione totale, anatomica e atomica. Allora vi preghiamo con le mani appena giunte che ci arrivano di continuo da tutte le vittime: che nessuna fede sia fedifraga, non le tradisca uccidendole per la seconda volta, anima compresa.

Credo in questo vostro e nostro pensiero congiunto di vera congiuntivite che vorrei leggeste insieme, nessuno prima dell’altro, a tre voci. Tre, numero perfetto: per per non primeggiare nè sopraffarsi o sentirsi migliore.

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