Kintsugi
Nella serie fotografica “The strength of hope”, il fotografo Domingo Nardulli ripercorre la quotidianità degli abitanti di Kyjiv e la forza emotiva di un popolo che da due anni e mezzo resiste agli orrori dell’aggressione russa: «Bisogna raccontare l’umanità delle persone, la quotidianità di chi resiste. È questo l’unico antidoto all’orrore»
(“The strength of hope”, Domingo Nardulli)
Nel luglio 1932, nel carteggio epistolare tra Freud e Einstein sul “perché della guerra”, alla domanda del matematico su come gli uomini potessero liberarsi, o anche solo resistere, alla follia bellica, il neuroscienziato aveva sostenuto l’importanza dei legami emotivi, ribadendo come a sanare le crepe generate nel tessuto sociale di un popolo dalle assurdità della guerra fosse lo sviluppo di una forza emotiva collettiva.
A dimostrarlo è la serie fotografica realizzata da Domingo Nardulli, fotografo, fondatore di doubleone_studio e autore di “The strenght of hope”, realizzata nella capitale ucraina lo scorso maggio. Negli scatti di Nardulli c’è tutta la forza emotiva di un popolo che da due anni e mezzo si trova a resistere agli orrori della guerra.
«La speranza che ho visto negli occhi delle persone a Kyjiv, la loro volontà indomita di lottare per la libertà e per il futuro dei loro figli, è una testimonianza potente della forza dello spirito umano. In un momento di grande difficoltà, gli ucraini continuano a combattere non solo per la loro terra, ma anche per un ideale di libertà che ispira e commuove.
La solidarietà tra le persone era ed è ancora evidente. Chi aveva perso tutto trovava conforto e aiuto in chi, pur avendo poco, era disposto a condividere», spiega Domingo a Linkiesta.
Domingo è un fotografo paesaggistico e documentarista, non un fotoreporter di guerra, ma ha scelto comunque di andare a Kyjiv e per undici giorni ha cercato di raccontare la vita degli abitanti della capitale ucraina, la loro quotidianità in un contesto di guerra.
Le immagini scattate offrono un preciso contesto, una voce alle storie individuali. La sua non è soltanto una testimonianza visiva, ma la narrazione umana e toccante di un popolo che da più di due anni lotta per la sua libertà.
«I racconti di guerra sono sempre impostati in un altro modo, con colori cupi che scandalizzano, bianchi e neri che tra loro contrastano. Io ho voluto dare alle mie fotografie un tono più accogliente, che facesse capire a chi le guarda la solidarietà del popolo ucraino. Conosciamo tutti gli orrori dell’aggressione russa, abbiamo visto le immagini delle torture a Bucha. Bisogna però anche far vedere gli sguardi di chi resiste», così Domingo spiega perché ha deciso di discostarsi dalle narrazioni classiche dei fotoreporter di guerra e realizzare una serie fotografica che parli di resilienza più che di distruzione.
In una delle sue fotografie colpiscono due donne che si abbracciano mentre guardano dall’alto la città, in un’altra due uomini che si scambiano un pacco di pasta, due bambini che giocano a girotondo e un altro che fa il gesto delle corna mentre parla a un walkie-talkie come fosse in qualche missione speciale. E in fondo forse lo è.
E poi i segni dei proiettili sulle macchine, le cucine da campeggio in cantine diventate rifugi anti-bomba, un uomo che piange di fronte a quella che probabilmente è la tomba di un parente, forse il figlio, e le donne accanto che, tra lapidi e croci, hanno allestito un pic-nic con coca-cola e pasticcini, nella speranza di rendere più a misura d’uomo un dolore che umano non è.
«Tra i miei scatti preferiti, il bambino che mostra il bicipite all’obiettivo. Tutta la sua forza risiede però nel suo sorriso, non in quel braccio minuto ma al tempo stesso così potente. È qui la resilienza del popolo ucraino, la forza della speranza. E da qui il titolo dell’intera serie fotografica», racconta Domingo.
«Nonostante la paura palpabile nelle strade della capitale, ho subito percepito che in questa nazione c’è un senso di casa e di resilienza che non potrà mai essere spezzato. La loro speranza non è semplicemente un’aspirazione vaga, ma una forza concreta che guida le loro azioni e alimenta la loro resistenza», aggiunge.
Nelle sue fotografie, Domingo ha deciso di raccontare «con la spontaneità di un bambino», come tiene a sottolineare, non tanto gli orrori della guerra, presenti nei fori di proiettile sulle auto e nei sacchi di sabbia agli ingressi degli edifici, nei vetri distrutti e nella morte che si affaccia dalle foto dei cimiteri troppo affollati di un paese che a febbraio 2024 registrava più di diecimila civili morti, quanto il senso di umanità che ha percepito sin dal suo arrivo.
«Stiamo combattendo per la libertà dei nostri figli, perché possano crescere in un paese libero e sovrano. Non possiamo permettere che la guerra rubi anche i loro sogni», racconta a Linkiesta ripercorrendo l’incontro con un signore residente nella capitale e padre di due bambini.
«Le strade di Kyjiv sono animate da cittadini intenti a proseguire la loro vita quotidiana con dignità e coraggio. Nonostante le sirene che risuonano a intervalli regolari, le metropolitane usate come rifugi e la presenza visibile delle forze armate, continuano a vivere. Io appena posso torno. Non basta. Bisogna raccontare l’umanità delle persone, la quotidianità di chi resiste. È questo l’unico antidoto all’orrore».