Il maratoneta
Il capo della France Insoumise persegue una politica sterile e provocatoria, pretendendo di imporre come premier Lucie Castets, ma non ha abbastanza seggi in Parlamento.
Mentre il leader di Place Publique lavora per riportare il Nuovo Fronte Popolare a una posizione più pragmatica e costruttiva
La sinistra francese è a pezzi, lacerata tra l’isteria gauchista e sterile di Jean Luc Mélenchon, che denuncia inesistenti colpi di Stato di Macron, e il riformismo socialdemocratico di Raphaël Glucksmann, che punta a costruire uno schieramento di sinistra affidabile per le presidenziali del 2027 nelle quali probabilmente sarà il candidato.
Glucksmann tenta di sottrarre la sinistra francese al dogmatismo gauchista che largamente la informa con parole nette: «È indispensabile rompere con l’estetica della radicalità che non è altro che settarismo». Questo, proprio nel momento in cui, proprio in omaggio a questo mito radicale, Jean Luc Mélenchon lancia una manovra suicida e provocatoria depositando in parlamento una mozione per la destituzione del presidente Emmanuel Macron per «violazione dei suoi doveri».
La tesi di Mélenchon è del tutto arbitraria perché sostiene che il Presidente è obbligato a dare l’incarico di formare il governo a Lucie Castets, una sconosciuta e scialba tecnocrate – finalmente indicata come candidata premier dalla gauche – perché la coalizione di sinistra è risultata prima nelle elezioni.
Ma Emmanuel Macron si guarda bene dal fare questa mossa avventurosa per una solidissima ragione costituzionale: il Nuovo Fronte Popolare è stato sì la coalizione più votata, ma ha ottenuto solo centottantadue seggi, dunque ben centosette meno della maggioranza di duecentottantanove.
Ora, in Francia, la Costituzione non prevede l’obbligo per i governi di ottenere il voto dì fiducia, quindi, in pura teoria, Castets potrebbe essere nominata premier, ma è certo che dopo una settimana il suo governo decadrebbe a causa di una mozione di censura massicciamente votata da tutti gli altri partiti.
Ma è esattamente questo, un disastro istituzionale che gli permette di fare la vittima «delle forze oscure della destra», lo scenario a cui lavora Mélenchon, le cui parlamentari partecipano a incontri di piena solidarietà con Hamas, del tutto incurante delle necessità di governabilità della Francia, e tutto teso a passare da propaganda a propaganda in un turbinio gauchista, condito da un verbalismo estremista esasperato.
Contro questa deriva settaria e giacobina si scaglia dunque Raphaël Glucksmann, il quale prende atto del fatto che in realtà Mélenchon è isolato a sinistra, perché né i socialisti né i verdi né i comunisti intendono sottoscrivere, e men che meno votare, la richiesta di destituzione di Emmanuel Macron. Nemmeno la sua candidata premier Castets la voterebbe.
Ma, soprattutto, Glucksmann guarda alle complicatissime trattative per la formazione del governo con un non casuale appello al ritorno alla sottile arte del compromesso: «A sinistra si è terrorizzati di fronte all’idea di essere considerati come impuri se si negoziano dei compromessi. Ma perché mai fare politica se ci si condanna all’impotenza e alle pose fini a sé stesse?».
Glucksmann coglie così nel segno, denunciando il principale problema della sinistra, e lo fa ben sapendo che, mentre Mélenchon sbraita e denuncia colpi di Stato inesistenti, Emmanuel Macron sta tessendo una sottilissima tela di compromessi in cui intende coinvolgere anche il partito socialista.
Il dato di fatto è drammaticamente semplice: il risultato elettorale di luglio in Francia non permette la formazione di nessun governo di coalizione omogenea che goda di una maggioranza parlamentare, anche risicata, né di destra né di sinistra. In questo senso, la decisione di Macron di sciogliere il parlamento e di indire elezioni anticipate ha portato a un risultato disastroso.
Peraltro, la Costituzione vieta di tornare al voto prima del giugno 2025. Quindi Macron, e l’ha detto chiaramente, lavora a formare un esecutivo di scopo, tra forze eterogenee, che potenzialmente possa essere votato da un ampio schieramento che va dai neogollisti, ai deputati di Macron e arriva ai socialisti, che si dia obiettivi minimi: una legge di Bilancio di tono minore e blandi provvedimenti contro il caro vita e a favore dell’occupazione.
Nulla più, se non la continuità del sostegno all’Ucraina, denominatore comune di questo largo spettro parlamentare. È quella che alcuni giornali chiamano “la strategia dell’omelette” che mira a coinvolgere tutti i partiti, tranne La France Insoumise a sinistra e il Rassemblement National a destra.
Una soluzione di estremo compromesso, al ribasso, per la quale non a caso Emmanuel Macron sta valutando addirittura, lo rivela Le Monde, di nominare un premier di lontana provenienza socialista, come Bernard Cazeneuve, che ruppe due anni fa col Ps in aperta polemica con l’alleanza nella Nupes con Jean Luc Mélenchon. È questa solo un’ipotesi sostenuta dall’ala sinistra dei collaboratori del Presidente. Altre, più centriste, hanno più forza.
Ma resta la sostanza che Glucksmann ha colto: Emmanuel Macron vuole coinvolgere il partito socialista, direttamente nel governo o di volta in volta, su singoli provvedimenti legislativi, in responsabilità di governo, quantomeno sino al giugno 2025. Il tutto, nella prospettiva non solo di elezioni anticipate l’anno prossimo, ma anche dello scontro con una Marine Le Pen forte come non mai alle presidenziali del 2027.
Appuntamento sul quale Glucksmann ha le idee chiare: «Sarà la socialdemocrazia, non i succedanei del macronismo o un avatar del populismo di sinistra che potrà affrontare il lepenismo». Di fatto una autocandidatura del leader di una sinistra che alle europee ha dimostrato di saper riconquistare consensi.
Si apre dunque in Francia per la sinistra riformista un percorso di compromessi alti e di possibili corresponsabilità di governo, una novità che i suoi leader devono saper valutare con saggezza, mentre i gauscisti alla Mélenchon gridano alla luna.