Davigo interviene nel dibattito sulla custodia cautelare
Fa discutere il contenuto del decreto carceri approvato l’altro giorno dalla Camera nel quale sono contenute norme per limitare gli arresti preventivi – quelli cioè operati prima di una sentenza definitiva – a casi di comprovata gravità e pericolosità sociale.
Per le opposizioni e per larga parte della magistratura si tratta di un provvedimento «salva colletti bianchi», categoria che numeri alla mano paga invece il più alto tributo alla piaga delle ingiuste detenzioni, oltre diecimila all’anno solo quelle ufficialmente riconosciute dalla Stato come tali.
In un Paese normale e ideale i colpevoli dovrebbero stare in carcere e gli innocenti non fare neppure un’ora di prigione, ma dovendo scegliere tra due ingiustizie meglio un colpevole libero che un innocente in galera, così almeno dovrebbe essere in una democrazia che al suo primo punto mette il rifiuto della barbarie e solo dopo l’accertamento della verità giudiziaria.
In Italia purtroppo la deriva giustizialista e manettara della magistratura e di parte della politica da tempo ha invertito la questione: chi se ne importa se un innocente passa mesi o anni in carcere, problemi suoi. Continua a pensarla così anche Piercamillo Davigo, l’ex pm noto per il teorema «un innocente è solo un colpevole che l’ha fatta franca» e che ieri ha rincarato la dose con un’articolessa su Il Fatto Quotidiano nel quale sostiene, difendendo l’uso abnorme della pratica, che «l’alta percentuale di detenuti in custodia cautelare dipende solo dalla bassa percentuale di detenuti definitivi in espiazione della pena».
Insomma, uno dovrebbe essere contento e riconoscere il giusto nello stare in carcere da innocente o presunto tale perché in fondo sono pochi quelli che ci stanno da colpevoli accertati. Semplicemente mostruoso, un po’ come sostenere che in guerra non è grave bombardare i civili visto che scarseggiano gli obiettivi militari.
Piercamillo Davigo è un esperto di reati, per averli perseguiti e per averli fatti, così almeno dice una sentenza di secondo grado che lo condanna a un anno e mezzo di carcere. Che anche se confermata in Cassazione non espierà e scommetto non accetterà. I moralisti manettari sono fatti così, intransigenti solo con la morale e i polsi degli altri.