Le nostre case ci definiscono, eppure stiamo perdendo la loro dimensione sociale, simbolica e cosmologica.
Mentre la società capitalistica si espande distruggendo interi ecosistemi, tornare allo spazio domestico significa ripensare il nostro modo di esistere e quindi di abitare il pianeta intero.
La tua casa non dovrà dominare una gran vista; dovrà essere incassata nel verde, sebbene sul pendio del terreno, o magari in cima a un rialzo per agio di deflusso. Avrà da essere comunque volta verso oriente per non perdere il sorgere del sole; il tramonto viene tanto più tardi che potrai sempre fare quattro passi per andarlo a vedere dall’altra parte.
Robert Louis Stevenson
Ho sempre pensato che l’esperienza della lettura dipendesse – in un rapporto di contaminazione reciproca – dal libro e dall’ambiente nel quale il lettore è immerso. Così come dal periodo della vita che sta attraversando quella persona, dal momento della giornata, dal tempo atmosferico o dalla stagione dell’anno, oltre che da infiniti altri fattori. In particolare, però, trovo che il luogo in cui si legge abbia un ruolo decisivo; ci sono dei libri che ricordo perfettamente solo pensando al grigio inverno parigino, altri che associo a un treno o a un aereo, altri ancora lasciano emergere dalla memoria volti e persone, occasioni di festa o di lutto, di tradimento o di perdita. E ci sono anche quei libri che ho frequentato talmente tanto, e in occasioni così varie, che se ci penso mi danno immediatamente la sensazione di abitarne il testo. Diventano essi stessi un luogo che contiene le case che ci hanno ospitati, le città dove abbiamo vissuto e le persone che abbiamo incontrato, fuori e dentro noi stessi.
Viceversa, alcuni luoghi rappresentano – e ne sono letteralmente trasfigurati – il ricordo di specifiche letture di alcuni libri. Se penso alla mia prima casa romana la associo immediatamente a Bolaño e Cioran, oltre a tante altre letture fatte in quella minuscola stanzetta. Ricordo benissimo quando sono stato a Firenze per la prima volta, grazie a Gombrowicz. E non posso discernere la lettura dell’opera immensa di Samuel Beckett dalla mia permanenza negli Stati Uniti d’America, né dalle pareti viola e verdi di cui era composta la casa dove abitavo, io ci vedo e ci vedrò sempre il volto di Beckett nell’enorme quadro, alla testa delle scale di legno che portavano verso l’uscita, raffigurante un gigantesco demone che fuoriusciva dall’oscurità della tela. E viceversa.
Ogni luogo ha i suoi libri di riferimento. Esiste tuttavia un unico posto al mondo, per me, nel quale ogni libro letto può rivestirsi di un’importanza peculiare. Si tratta di un preciso angolo del terrazzino di casa, alle Eolie. Per chi non fosse pratico dell’architettura di queste isole: i terrazzi sono tradizionalmente recintati da una sorta di panchina – i cosiddetti bisola. Le colonne che si ergono agli angoli di questa “recinzione”, incorniciano le sedute, che possono essere maiolicate, utilissime quando si è in tanti, e di straordinaria comodità per chiunque vi si sia sdraiato almeno una volta nella vita. Inoltre, la cosa che rende davvero speciale proprio quell’angolo del mio terrazzino (nel quale ho passato talmente tante ore da lasciare un alone dove solitamente poggio la testa) è la sua posizione strategica: si trova infatti proprio davanti al curvone che sovrasta il molo, probabilmente uno dei punti più frequentati del paesino.
In quell’angolo la seduta è perfetta, spira quasi sempre una brezza salina rinfrescante e quando sollevo gli occhi dal libro posso seguire l’andirivieni del curvone, inoltre, se qualcuno sta per entrare in casa mi avverte sempre il rumore del cancelletto, e con una leggerissima torsione del capo posso sapere subito di chi si tratta.
Costituisce una soglia: il terrazzo è talmente immerso nel dedalo delle stradine interne, attaccato alle altre case, da dovere per forza di cose divenire osmotico e permeabile … leggi tutto
(Luke Stackpoole)