L’America è un sacco di cose, più dolorose che belle (huffingtonpost.it)

di Gianni Montieri

«Pioveva ancora. L’orologio sul cruscotto 
faceva le cinque e venti. La macchina partì al 
quinto tentativo. Lynette imboccò la Prescott e 
si diresse a nord sulla 60th».

Ho incrociato il Vlautin scrittore qualche tempo fa leggendo Motel Life, il suo primo romanzo, e ne sono rimasto incantato. Ha un modo unico, quasi dolce, di raccontare i disperati. Tratteggia le difficoltà di uomini e donne come se li guardasse dall’interno, come se le sentisse sorelle, come se li ricordasse fratelli. Quella dolcezza accompagna il lettore, di storia in storia, nel naufragio del sogno americano (una costante nel racconto di molti scrittori), ne svela gli inganni, i punti deboli, l’impossibilità che si realizzi, tranne che per un numero molto esiguo di privilegiati.

La maggior parte degli abitanti degli Usa lotta ogni giorno per sopravvivere, si attacca con le unghie dove può, fa due o tre lavori sottopagati, vive in stamberghe, case umide e tenute male, in periferie colossali che si fondono con l’orizzonte fino a che il centro non si espanda e le risucchi. Le trasformi. Dove vanno i poveri, le famiglie, quando il luogo che hanno chiamato casa diventa qualcos’altro? Quando il sobborgo muta in quartiere residenziale? Quando l’affitto da ragionevole diventa insostenibile? Sono queste alcune delle domande che solleva lo scrittore e musicista (ricordiamolo nei Richmond Fontaine e The Delines), nato in Nevada, nel suo nuovo romanzo La notte arriva sempre (Jimenez, 2021, traduzione di Gianluca Testani).

Se i due fratelli protagonisti di Motel Life navigavano trascinati dal loro stesso destino disperato (e commovente), Lynette, l’attrice principale di questo nuovo romanzo, si muove in un presente in cui la gentrificazione di Portland – la città dell’Oregon in cui vive – trasforma il tessuto urbano e sconvolge le vite di chi, come lei, è nata ed è sempre rimasta in periferia, lottando con tutte le proprie forze per difendere ogni metro quadro, per garantirsi un po’ di cibo, il riscaldamento, una sicurezza minima. Un posto che si chiama casa.

«Vedi, il fatto è che tu non hai mai mollato e hai un cuore d’oro, un cuore ferito, ma buono, e vuoi essere buona. A tanta gente non interessa fare qualcosa di buono. Tanta gente vuole solo spingerti da parte e prendersi quello che vuole».

Lynette ha trent’anni, vive con sua madre e suo fratello in una zona di Portland che sta cambiando rapidamente, i condomini nuovi, fatti per benestanti si stanno mangiando le case vecchie e chi le abita. Sua madre è una donna stanca, provata dalla vita complicata, sembra che più niente la tocchi, nemmeno i figli. Divide le giornate tra il lavoro e lo stravaccarsi sul divano con bicchieri di latte al cioccolato e sigarette.

Se dorme lo fa davanti alla tv. Il suo adorato fratello ha problemi di salute mentale, è Lynette che si occupa di lui sia in casa che fuori casa, è costretta a portarlo con sé quando fa i turni nel laboratorio di pasticceria. In trent’anni Lynette ha già visto e subito di tutto, a cominciare dall’abbandono della famiglia da parte del padre. Ha dovuto lottare e lotta … leggi tutto

(peter bucks)

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