Si pulì si vestì s’avvelenò (ilpost.it)

di Giacomo Papi

Da bambino credevo di essere zingaro, a vent’anni ho 
scoperto di essere ebreo. Almeno un po’: quel tanto 
che basta. Della famiglia di mia madre sapevo 
pochissimo perché erano poveri, parlavano poco 
ed erano morti. 

I pochi parenti ancora in vita non avevano alberi genealogici o proprietà a cui agganciare memorie e racconti, oppure si erano dispersi, nel loro silenzio, in varie parti del mondo. Una delle poche antenate che mia madre evocava – ma non ne sapeva molto neppure lei – era una misteriosa bisnonna di cui in famiglia si preferiva tacere e di cui lei conosceva soltanto il nome e la razza: Virginia, zingara. Avremmo saputo che era una mezza bugia dettata dall’ignoranza e dalla paura, ma anche dal presagio che il fascismo e le leggi razziali sarebbero potute tornare.

Mio nonno si chiamava Otello e mia nonna Tosca, come le opere. Si erano conosciuti alla fine degli anni Trenta e nel 1941 era nata mia madre. Da giovane Otello aveva avuto la tubercolosi, ma era guarito. Tosca si ammalò nel 1944 e morì nell’ottobre 1950, dopo molto sanatorio, quando mia madre aveva 9 anni. Si sapeva anche che Otello aveva due fratelli, Adolfo, che viveva a La Spezia, e Norma – un’altra opera – che aveva sposato Don, un soldato scozzese conosciuto durante la guerra, e si era trasferita prima a Edimburgo, poi a Melbourne, in Australialeggi tutto

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