di Gian Antonio Stella
L’archistar e senatore a vita parla dal Ponte Morandi alle alluvioni: «Non possiamo lavorare solo sulle emergenze. Sui viadotti c’è da lavorare e studiare l’intervento, ma non sono tutti a rischio o peggio ancora da abbattere»
E quei ponti che appaiono drammaticamente marci? Quei tondini arrugginiti che spuntano qua e là dai pilastri di cemento come midollini di vecchie sedie impagliate? Quei viadotti vetusti sui quali i cittadini tremano a ogni passaggio? «C’è da lavorare. Da studiare l’intervento.
Ma non sono tutti a rischio o peggio ancora da abbattere», risponde Renzo Piano, che proprio giovedì ha riunito nella stanza G124 al Senato i suoi ragazzi per un bilancio sul progetto di «rammendo» delle periferie, delle aree degradate, dei territori più sgarrupati.
Certo, quel cemento che negli anni Cinquanta e Sessanta sembrò la soluzione più rapida e sicura per accompagnare nella sua galoppata l’Italia del boom sta mostrando quasi di colpo, soprattutto dopo l’apocalisse del ponte Morandi, tutti i suoi problemi. «Ma ci sono interventi, tecniche, prodotti che consentono di riparare anche situazioni di deterioramento vistoso» … leggi tutto