Tra il mare e l’inferno (internazionale.it)

di XXIFrancia (Traduzione di Francesca Spinelli)

La voce della donna era allarmata e febbrile: 
“Dov’è Pasquale?”. 

Mario Alamaro fece un passo indietro. La donna era anziana, avrà avuto quasi ottant’anni, con il corpo rattrappito, tutta vestita di nero. Se ne vedono tante di figure così che ondeggiano come ali di corvo nei vicoli di Napoli. Mario guardò il suo viso segnato, i capelli arruffati. E i suoi occhi. Stravolti, sbarrati, iniettati di sangue. Quanto dolore.

Ma quegli occhi brillavano per la determinazione. Impaziente, quasi minacciosa, la donna fece un passo avanti: “Dov’è?”.
“Chi?”.
“Pasquale. Fatemi passare”.
“Non si può. È vietato”.
“Lo devo trovare. Aprite!”.

Sconcertato, Mario tolse il catenaccio alla porta di ferro battuto e la vecchia si infilò nella grotta del cimitero delle Fontanelle. Povera pazza. Come poteva sperare di trovare un’anima persa in quel labirinto, seppellito sotto una chiesa, nel rione Sanità?

Ormai sono quarant’anni che questo posto è chiuso al pubblico. È una spaccatura nella montagna, una cripta monumentale scavata nel tufo e alta venti metri. Decine di gallerie si diramano, buie e profonde, per tremila metri quadrati, fiancheggiate da larghi banchi di pietra. Su ogni spazio libero, in fila o in mucchi, disposti con cura, in ordine, tondi, bianchi, coperti di polvere, con lo sguardo vuoto ma integri, ci sono quarantamila teschi, appoggiati sul loro letto di ossa: il popolo dei morti del cimitero delle Fontanelle, realizzato nel 1656, quando una terribile epidemia di peste devastò la città.

I monatti, gli uomini dai mantelli gialli, spingevano i loro carri per le strade appestate di Napoli e scaricavano qui fino a tremila cadaveri al giorno. All’epoca i morti si seppellivano il più vicino possibile a Dio, sotto le chiese.

Napoli respirava la morte. La vita fuggiva dalla città, i corpi neri e deformi delle vittime si accumulavano alla rinfusa sugli scolatoi. Erano messi lì a disseccare, senza sepoltura. Poi sarebbero stati raggiunti dalle vittime delle epidemia di colera del 1836 e del 1973. Si era dovuta ingrandire la caverna. Un colpo di scalpello, un pezzo di legno nella fessura, due violente mazzate e tutto un lato della montagna veniva giù.

Finché un giorno, tornata la pace e quando ormai le ossa erano imbiancate, un monaco e alcune suore cominciarono la grande cernita … leggi tutto

(clicca sulle foto per raggiungere il sito delle catacombe di Napoli)

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