Quello di “tradimento” intrattiene rapporti stretti con i concetti di “traduzione” e “tradizione”…
Il controverso caso della Malinche, da capro espiatorio a soggetto attivo e liberatorio, creatrice di nuove forme di meticciato
Chi è tradito, in amore o in politica, si avvilisce e rosica. Ma diversamente vanno le cose nell’urto fra culture. È a quel livello che si fa valere il vecchio adagio che equipara traduttore e traditore – in base a un’ingannevole consonanza etimologica – acquisendo nel lungo periodo un significato positivo, differente dal rilievo tragico assunto in Afghanistan e in altri Paesi “liberati” e poi abbandonati dagli Usa e alleati, dove le prime vittime, accusate di collaborazionismo, sono proprio gli interpreti reclutati dai comandi militari degli invasori.
In effetti, tradurre e interpretare – che sono operazioni dello stesso ordine – implicano sempre un certo grado di collaborazionismo con l’altro e di tradimento del simile, solo che in molti casi si tratta di processi di contaminazione che producono innovazione per alterazione e fertile mescolanza. Due prototipi, nel mondo mediterraneo e in quello mesoamericano, sono rispettivamente la falsafa islamica e la figura emblematica quanto controversa della Malinche nella conquista spagnola del Messico.
Quanto il primo caso si svolge al massimo livello di astrazione e di confronto teologico e speculativo, tanto il secondo porta in primo piano il sangue e la carne, la mescolanza dei popoli oltre che delle religioni e delle idee. Protagonista del primo sono intellettuali maschi, del secondo una donna, reale e allegorica.
Nell’area siriano-mesopotamica strappata dagli arabi ai bizantini e ai sassanidi, già i monaci di rito giacobita e nestoriano avevano cominciato a tradurre in siriaco i principali testi filosofici di Aristotele, Platone e dei neoplatonici e i conquistatori omayyadi si erano affrettati a farli tradurre a loro volta in arabo … leggi tutto
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