Almeno 227 attiviste e attivisti in difesa della terra e dell’ambiente uccisi nel 2020. Il numero più alto per il secondo anno consecutivo (valigiablu.it)

di 

Óscar Eyraud Adams, 34 anni, messicano, indigeno 
del gruppo dei Kumiai,

combatteva per il diritto all’acqua. In un’intervista rilasciata al quotidiano Reforma ad agosto 2020 aveva dichiarato che l’acqua che sarebbe dovuta arrivare alle comunità indigene per irrigare i raccolti veniva deviata verso aree più ricche e uno stabilimento della Heineken.
Il 24 settembre 2020 è stato ucciso a colpi di arma da fuoco nella sua casa, poco dopo l’arrivo di due veicoli con i vetri oscurati.

Ana Lucía Bisbicús García, 50 anni, colombiana, membro della comunità indigena Awá della riserva Pipalta Palvi Yaguapí, situata nel comune di Barbacoas, Nariño. Da anni era molto attiva nell’organizzazione della sua comunità e di quella degli Awá in generale.
Il 3 ottobre 2020 alcuni membri di un gruppo armato l’hanno portata dietro una chiesa, dove stava partecipando a una veglia funebre, e l’hanno assassinata.

Fikile Ntshangase, 65 anni, sudafricana. Si batteva contro l’ampliamento di una miniera di carbone di proprietà della Tendele Coal Mining, vicino a Somkhele, nella provincia di KwaZulu-Natal.
Il 22 ottobre 2020 è stata trucidata con colpi di arma da fuoco nel soggiorno della sua abitazione.

Adams, Bisbicús García e Ntshangase sono tra i 227 attiviste e attivisti impegnati per la protezione dell’ambiente e la tutela del diritto alla terra assassinati nel 2020. Tutti gli omicidi tranne uno sono avvenuti in paesi del sud del mondo. A denunciarlo in un rapporto Global Witness, una ONG fondata nel 1993 con sede a Londra, impegnata nel mettere fine alle violazioni ambientali e dei diritti umani provocate dallo sfruttamento delle risorse naturali e dalla corruzione nel sistema politico ed economico globale. Dal 2012 l’organizzazione si occupa anche di raccogliere dati e informazioni sulle uccisioni di chi difende la terra e l’ambiente.

227 è il numero più alto registrato per il secondo anno consecutivo. Nel 2019 le vittime erano state 212. Una media di più di quattro persone uccise ogni settimana. Ma le vittime potrebbero essere anche di più. Non si ha certezza a causa delle crescenti restrizioni a cui sono sottoposti i giornalisti e, più in generale, per le limitazioni alle libertà civili.

Secondo quanto si legge nel documento di Global Witness quasi un terzo degli omicidi è collegato allo sfruttamento delle risorse: disboscamento, estrazione mineraria, agroindustria su larga scala, dighe idroelettriche e altre infrastrutture.

All’intensificarsi della crisi climatica corrisponde, inoltre, un aumento della violenza nei confronti di coloro che proteggono la loro terra e il pianeta. È ormai evidente – dichiara Global Witness – che lo sfruttamento e l’avidità che guidano la crisi climatica stanno anche causando la violenza nei confronti di chi difende la terra e l’ambiente.

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(Rémi Prévost)

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