di Gian Antonio Stella
La scelta di Trump di fondare un suo social network chiamandolo «Truth»,
ma coi precedenti della campagna elettorale del 2016 ì, c’è da aspettarsi di tutto
«La Veritàaaaaa». Solo Cesare Zavattini potrebbe spiegare al meglio, col suo camicione bianco da pazzo e quel titolo strepitoso scelto per l’unico film del quale fu l’ideatore, lo sceneggiatore, il regista, l’attore e perfino l’autore della colonna sonora, la decisione di Donald Trump di fondare un suo social network chiamandolo «Truth», verità.
Una scelta sfacciatamente provocatoria, uno sberleffo planetario che chiama a raccolta tutti coloro ai quali la verità in sé stessa, o almeno la volenterosa approssimazione alla verità cercata dalle persone perbene di ogni colore, non importa un fico secco. Conta solo la «sua» verità. Perché sì, lui pure potrebbe mettersi uno spropositato grembiulone bianco e impugnare anche un megafono tipo «Votantoniolatrippa!» e i suoi fedeli gli andrebbero dietro lo stesso.
Non a caso nel 2016, in una sorta di sarcastico e amaro «omaggio» alla spudorata campagna elettorale di «The Donald», l’Oxford dictionary selezionò come parola dell’anno «Post-Truth», la post-verità dominante in un mondo «in cui i fatti oggettivi sono meno influenti degli appelli alle emozioni». Mark Zuckerberg, fondatore di Facebook, faceva spallucce: «Solo l’1% di quanto finisce in rete è falso».
Testuale. E solo troppo tardi si sarebbe difeso dicendo che la sua mefistofelica creatura era stata «usata» da altri e che avrebbe lanciato «un bollino rosso contro le fake news» … leggi tutto