di Davide Varì
La sentenza che ha assolto l'ex sindaco di Lodi ha ristabilito il primato della politica:
ed è questo che non va giù a Travaglio…
Potremmo chiamarlo “Quarto grado” di giudizio, come la trasmissione tivvù. Oppure “il controprocesso”, perché in fin dei conti è proprio questo che si sta celebrando sulle pagine del Fatto quotidiano: un controprocesso all’ex sindaco di Lodi Simone Uggetti e un nuovo e inedito processo ai giudici che hanno osato assolverlo.
Del resto c’è da capirli: l’assoluzione del sindaco di Lodi è un boccone troppo amaro da mandare giù anche a causa del gran gesto di Luigi Di Maio, il quale chiese pubblicamente scusa per la gogna mediatica cui sottoposero il povero Uggetti nei giorni in cui finì in galera.
Ma la cosa che più brucia ai grillini rimasti affezionati ai vecchi slogan, sono le motivazioni con cui i giudici, pochi giorni fa, hanno spiegato quell’assoluzione. In poche ma incisive righe i magistrati hanno infatti riaffermato l’autonomia della politica e il suo primato anche nei confronti alla giustizia: che non vuol dire impunità ma diritto a prendersi responsabilità politiche.
Ed è questo che più brucia dalle parti del giornale di Travaglio: il fatto che un giudice riconosca l’autorità della politica, il suo diritto a “condizionare”, nel senso più alto del termine, le direzioni dei singoli bandi. E non per favorire gli amici degli amici ma nel supremo interesse pubblico.
Vale la pena rileggere qualche passaggio di quelle motivazioni perché sono una pietra angolare del Diritto e un esempio di quello che dovrebbe essere il rapporto tra politica e giustizia.
Partendo da una sentenza della Consulta e da una legge regionale, i giudici spiegano che «la separazione tra funzioni di indirizzo politico-amministrativo e funzioni di gestione amministrativa “costituisce un principio di carattere generale, che trova il suo fondamento nell’articolo 97 della Costituzione”».
Viene inoltre ristabilito il principio secondo cui il sindaco ha «un margine di intervento entro il quale l’esercizio di una responsabilità politica è espressione non collusiva, ma legittima del perseguimento di un bilanciamento – proprio dell’attività politica – fra pluralità di interessi pubblici».
Insomma, mentre il Fatto processa i giudici, noi consideriamo questa sentenza uno dei momenti più alti del complicato rapporto tra giustizia e politica: questione di punti di vista…