Spataro: «Siete voi giornalisti ad alimentare l’anomalia dei pm supereroi» (ildubbio.news)

di Errico Novi

«Non è corretta la litania di chi attacca 
sempre i pm, definendoli “devianti”. 

O per esser più precisi, le norme del codice e quelle sull’ordinamento dei magistrati non favoriscono affatto il moralismo ostentato da alcuni pubblici ministeri, ed è certamente sbagliato generalizzare. Piuttosto, mi permetta di dire che siete anche voi giornalisti ad aver alimentato carriere di inquirenti segnate da un’eccessiva visibilità».

Armando Spataro non solo ha guidato uffici giudiziari importantissimi come la Procura di Torino ma rappresenta un punto di riferimento anche nell’associazionismo giudiziario: è stato il leader di Movimento per la giustizia, da cui poi, con Md, è nata Area, e i suoi interventi pubblici segnano puntualmente il dibattito su toghe e processi.

È perciò naturale chiedergli se le esigenze di efficienza imposte dal Recovery, e rilanciate da altre voci autorevoli, ad esempio Giuseppe Pignatone, possano snaturare la figura del pm in un prosecutor all’americana, sempre a caccia di successi statistici con cui sostenere le ambizioni di carriera. «No, il nostro sistema non è concepito così, glielo posso assicurare».

D’accordo, partiamo però da una tesi esposta alcuni anni fa da Piergiorgio Morosini in un’intervista al Dubbio: il carrierismo può spingere un magistrato a trascurare la tutela dei diritti, perché l’ambizione può realizzarsi se il solo principio d’azione è la sintonia col capo dell’ufficio. È così?

Aspetti. Non sono affatto d’accordo sull’idea che l’ambizione possa indurre un magistrato a trascurare i diritti, inclusi quelli dell’indagato. Cercare anche elementi favorevoli alla persona accusata non è una facoltà, ma un obbligo che il codice fa ricadere sul pm.

Un procuratore è chiamato ad apporre il proprio visto sull’atto di un sostituto solo se si tratta di richieste di misure cautelari. Mai e poi mai, ad esempio, può sostituire un pm nel corso del dibattimento perché non ne condivide le convinzioni. C’è gerarchizzazione sul piano delle scelte organizzative, non sulle valutazioni di merito nei procedimenti.

È vero invece, riguardo le questioni poste da Morosini, che le statistiche di volta in volta adottate dal Csm come rilevanti ai fini delle valutazioni di professionalità rischiano di condizionare il lavoro di molti magistrati. Ma certo non esistono statistiche che premiano chi chiede più rinvii a giudizio e meno archiviazioni.

Insomma, siamo lontani da una deriva americana.

Evidentemente. E potrei ricordare di aver ottemperato all’obbligo di cercare anche prove favorevoli all’imputato anche in casi davvero delicatissimi, ma lo fanno in tanti.

A cosa si riferisce?

Ad esempio, al processo Alunni, parliamo di terrorismo, in cui chiesi la condanna di un imputato, ma poi l’arringa del difensore, Achille Melchionda, mi insinuò il dubbio. Decisi di approfondirlo e, in un’indagine parallela, Roberto Sandalo mi confermò che il giovane imputato era stato usato da Prima linea ma non ne era membro. Intervenni in replica e chiesi l’assoluzione.

E in genere il pm cerca davvero la verità anziché il successo?

L’avvocato non è tenuto a perseguire la verità processuale ma, legittimamente, l’esito più favorevole per l’assistito, persino se ne conosce la colpevolezza. Il pm, ripeto, deve perseguire l’accertamento della verità processuale. E guai al pubblico ministero che consideri tale vincolo come un optional.

L’avvocato aiuta il pm a coltivare quella che lei, in un recente articolo, definisce “etica del dubbio”?

Può indurre il dubbio, certamente. Anche se il pm non può trascurare la diversa natura delle funzioni … leggi tutto

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