La Corte costituzionale si è pronunciata contro l'assolutezza del criterio che esclude il detenuto non "collaborante" dall'accesso ai benefici carcerari.
“Il silente ‘per sua scelta’ non equivale al silente ‘suo malgrado'”. Ma in Parlamento questa linea non passa
Seguendo un pronunciamento della Corte europea dei Diritti dell’Uomo, nel maggio scorso la Corte costituzionale, trattando dell’ergastolo cosiddetto ostativo, per delitti di contesto mafioso e detenuti che avessero scontato già 26 anni, aveva sentenziato che la mancata “collaborazione” non potesse più essere intesa come una condizione assoluta, tale da impedire ogni altra valutazione circa la pericolosità perdurante del detenuto, dimostrandone automaticamente il mancato distacco dalla criminalità organizzata (art.4-bis, comma 1 dell’ordinamento penitenziario).
Quella condizione assoluta eliminava il detenuto non “collaborante” – qualunque ne fosse il movente, compresa la paura di conseguenze sui propri famigliari, o l’eventualità che non disponesse di informazioni utili – dall’accesso ai benefici carcerari, fino alla liberazione condizionale.
Così stabilendo, la Corte decideva tuttavia di evitare un intervento puramente demolitorio, e in nome delle esigenze di sicurezza collettiva rinviava al Parlamento una correzione che, compensando l’eliminazione della “collaborazione” come conditio sine qua non, contemplasse ulteriori valutazioni, come l’emergere di specifiche ragioni della mancata collaborazione o l’introduzione di prescrizioni particolari per il periodo di libertà vigilata del soggetto. Correzione che il Parlamento deve attuare entro il 10 maggio 2022, data nella quale sarà riesaminata la legittimità costituzionale.
Era una decisione insieme coraggiosa, nel cancellare l’assolutezza di un criterio per molti versi opinabile – “lasciate ogni speranza” – e prudentissima nel sottoporla a ulteriori vincoli legislativi. Il Parlamento, nei ritagli di tempo, sta adoperandosi per svuotare di ogni contenuto la decisione della Corte, tra gli anatemi di importanti autorità giudiziarie: ultima, per me davvero sorprendente, l’affermazione di Giovanni Salvi, procuratore generale della Cassazione, secondo cui ergastolo ostativo e 41 bis non sono “carcere duro”.
Ieri, 25 gennaio, la Corte costituzionale ha pubblicato un’altra sentenza (n. 20 del 2022, relatore Nicolò Zanon) la quale stabilisce che: “I detenuti che non collaborano con la giustizia non sono tutti uguali: il silente ‘per sua scelta’ non equivale al silente ‘suo malgrado’.” Il tema era la legittimità della distinzione, rispetto al principio di uguaglianza.
Il magistrato di sorveglianza di Padova che aveva ricorso alla Corte sosteneva che fosse arbitrario distinguere fra chi “oggettivamente può, ma soggettivamente non vuole collaborare” (silente per sua scelta), da chi “soggettivamente vuole, ma oggettivamente non può” (silente suo malgrado) … leggi tutto