I Savoia, i gioielli e le responsabilità incalcolabili (corriere.it)

di  Gian Antonio Stella

Gli eredi della casa regnante fanno causa

per riavere i gioielli custoditi dalla Banca d’Italia. In base alle leggi razziali firmate da Vittorio Emanuele III migliaia di ebrei vennero rapinati di tutto ciò che avevano, nel silenzio assoluto della casa allora regnante

Non potevano scegliere data peggiore, i Savoia, per intimare al nostro paese di consegnare i gioielli della famiglia reale. Di più: per minacciare attraverso l’avvocato Sergio Orlandi, dopo il fallimento di un’impossibile mediazione, un atto di citazione in giudizio per la Presidenza del Consiglio, il Ministero dell’Economia e Bankitalia.

Rei di non aver restituito alla casata espulsa le «gioie di dotazione della Corona del Regno» che Umberto II diede in consegna alla neonata Repubblica il 5 giugno 1946 e da allora chiuse nel caveau.

Per una sciagurata e offensiva coincidenza, infatti, la battaglia legale per riappropriarsi di quel ben di Dio del valore di 300 milioni (spicca una preziosissima tiara presente nei ritratti ufficiali della regina Margherita e della regina Elena) arriva infatti proprio mentre la comunità ebraica, in occasione della Giornata della Memoria, piange le vittime dell’Olocausto e prima ancora delle leggi razziali firmate da Benito Mussolini e Vittorio Emanuele III.

Giornata che proprio dodici mesi fa, dopo ottant’anni di indecenti silenzi familiari («Non vedo perché dovrei fare un atto di scuse», disse ad esempio Vittorio Emanuele al Tg2 nel ‘97, «Io non ero neanche nato… Quelle leggi… No, non furono così terribili») fu colta dal giovane Emanuele Filiberto (ballerino, presentatore, spalla di Pupo a Sanremo, fondatore del micro-partito Realtà Italia e del camion-pizzeria californiano «Prince of Venice Food Truck») come occasione per dire finalmente: «Condanno le leggi razziali del 1938, di cui ancor oggi sento tutto il peso sulle mie spalle e con me tutta la Real Casa di Savoia e dichiaro solennemente che non ci riconosciamo in ciò che fece Re Vittorio Emanuele III».

Scuse tardive, troppo tardive: Liliana Segre fece in tempo a sentirle, tanti altri sopravvissuti di Auschwitz come Piero Terracina, no: se ne era già andato … leggi tutto

(Arno Senoner)

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