di Marina Nasi
Don't it always seem to go. That you don't know what you got 'til it's gone.
Il ritornello di Big Yellow Taxi, uno dei brani più celebri di Joni Mitchell, ci ricorda che non capiamo mai il valore di ciò che è nostro finché non lo abbiamo perduto. Per il momento, Spotify non sembra dare eccessivi cenni di pentimento per aver lasciato andare la storica cantante canadese, così come pochi giorni fa, all’ultimatum di Neil Young “O me o Joe Rogan”, aveva reagito rimuovendo in meno di 48 ore quasi tutto il catalogo dell’autore di Harvest Moon e Heart of gold.
È un inizio d’anno impegnativo per Spotify. Non è la prima volta che la piattaforma svedese viene esposta a critiche, ma questa querelle è forse la più intensa e mediaticamente esposta.
Tutto comincia lunedì 25, quando Neil Young annuncia, con una lettera aperta al suo manager e alla sua casa discografica, pubblicata sul sito ufficiale e successivamente rimossa, che Spotify “diffonde informazioni false in merito al vaccino – potenzialmente causando la morte di chi crede alla disinformazione che lì viene fatta”.
Una Experience da 11 milioni di ascoltatori a puntata
Il riferimento esplicito delle dichiarazioni di Neil Young è il podcast The Joe Rogan Experience, condotto dal cinquantaquattrenne Joe Rogan, personalità televisiva, comico, attore e adesso astro di punta della scuderia Spotify. Con i suoi 11 milioni di ascoltatori per episodio (secondo quanto dichiarato dalla piattaforma) e l’abitudine a intervistare personaggi controversi, Rogan nel suo programma ha regolarmente dato risalto a teorie non accreditate, tra complottismi e disinformazione, anche in merito alla questione Covid, dai vaccini ai protocolli sanitari.
“Possono avere Rogan o me. Non entrambi”, concludeva Young, e il seguito è noto: mercoledì 27 gennaio la discografia del 76enne musicista canadese era già scomparsa dalla piattaforma. In più, Spotify faceva sapere all’Hollywood Reporter, tramite un suo portavoce, di prendere con grande scrupolo tanto la libertà di espressione quanto la salute del pubblico, e di avere eliminato oltre 20.000 episodi di podcast con contenuti relativi alla Covid-19. Evidentemente quelli della Joe Rogan Experience non erano stati considerati così dannosi da meritare la rimozione.
Tre ore di Robert Malone
Solo una settimana fa, ha provocato reazioni fra l’indignato e il divertito l’ospitata di Jordan Peterson, psicologo clinico noto per i suoi video provocatori e ultraconservatori su YouTube. Lunedì 25, mentre Neil Young annunciava l’abbandono di Spotify, Peterson si lanciava in una serie di traballanti critiche ai modelli usati dai ricercatori per prevedere l’andamento del riscaldamento globale, che ovviamente lo psicologo negava.
Un altro degli episodi più controversi del podcast di Rogan, andato in onda il 31 dicembre 2021, aveva come ospite il virologo e immunologo Robert Malone, personaggio molto dibattuto.
Fresco di eliminazione da Twitter, Malone nel corso di una puntata lunga tre ore ribadiva la potenziale pericolosità del vaccino anti-Covid (nonostante rivendichi per sé la paternità dei vaccini mRNA), oltre a promuovere l’uso off label di Invermictina e Idroclorochina, sostenere che le cure precoci sono scoraggiate perché gli ospedali ricevono bonus per i ricoveri e per le morti Covid, parlare di una sorta di cancel culture scientifica che zittirebbe i medici non in linea con la narrazione ufficiale e, per concludere, paragonare la “psicosi di massa” degli Americani in merito alla Covid-19 al clima della Germania nazista.
Insomma tutti i grandi classici del complottismo sanitario, niente di nuovo, ma considerato l’enorme seguito di Rogan e del suo podcast, l’episodio in questione aveva fatto guadagnare a Spotify unalettera aperta, in cui quasi 300 firmatari appartenenti alla comunità medica esprimevano preoccupazione per la mole di disinformazione promossa sulla piattaforma e chiedevano al colosso svedese di intervenire con una policy chiara sulle fake news sanitarie … leggi tutto