Perché l’alternanza scuola-lavoro è meno classista della scuola-scuola (corriere.it)

di Roberto Contessi

Ai ragazzi che protestano contro gli stage 
in azienda 

dopo la fine tragica del 18enne friulano Lorenzo Parelli, il professore e scrittore Roberto Contessi spiega perché invece l’alternanza scuola-lavoro, se fatta bene, aiuta i più deboli

Bisogna nutrire grande rispetto per il dramma di Lorenzo, ragazzo friulano vittima di un incidente durante un tirocinio formativo, perché morire a 18 anni non può che lasciare senza parole. Questo unisce docenti ed alunni per rendere i luoghi della formazione sicuri, ma questo dramma poco ha a che fare con l’alternanza scuola-lavoro.

Lorenzo frequentava un Centro di Formazione Professionale, dunque il tirocinio atto ad acquisire un mestiere faceva parte del suo percorso di apprendistato e, se casomai qualche azienda ha mai usato l’alternanza scuola-lavoro per sfruttare il lavoro giovanile, quel comportamento gravissimo è paragonabile a quello di un evasore fiscale. Bisogna denunciare e far intervenire l’autorità competente.

Però vorrei dire ai ragazzi che è errato battersi contro l’alternanza scuola-lavoro perché quel metodo di apprendimento è nato proprio per curare la malattia più insidiosa di cui soffrono: la debolezza nelle capacità critiche. Le indagini sui livelli di profitto degli studenti raccontano senza esitazione che tre liceali su dieci sono in difficoltà nel leggere, scrivere e far di conto, ma soprattutto altri quattro possiedono le capacità fondamentali senza però sapere come usarle.

Sono, ci piaccia o no, gli «analfabeti funzionali» che si perdono davanti a documenti complessi, che non sanno trarre conclusioni, stentano a verificare l’attendibilità di una notizia e non brillano certo nel discutere in modo argomentato.

L’alternanza scuola-lavoro è nata soprattutto pensando a loro. E’ nata per chi non aveva solo bisogno di apprendere gli elementi di base, ma necessitava di altre cose, cose che di solito a scuola non si imparano tra i banchi: ecco perché ne erano privi. Si trattava di offrire loro la possibilità di mettersi in gioco in un contesto formativo ma non scolastico, dove avrebbero dovuto organizzare il loro tempo, lavorare in gruppo, scegliere soluzioni diverse da quelle presenti nel libro di testo.

In una sola parola: essere creativi. Voglio far soffermare i ragazzi e i genitori su questa parola, che usata per l’alternanza scuola-lavoro sembra una bestialità. La creatività in senso biologico è la capacità adattativa dell’individuo: non ha a che fare solo con lo spruzzo di colore sulla tela di Pollock, ma con la capacità di modificare l’ambiente dove vivi per trovarvi un posto adatto. Io credo che, in questo senso, l’alternanza scuola-lavoro abbia offerto una opportunità per molti ragazzi, una strada possibile, e che la sua abolizione sia una perdita e non un guadagno per quel nuovo analfabetismo verso cui i licei del centro storico fanno spallucce.

E poi non c’è solo questo in ballo. Poiché un altro punto debole del sistema liceale è la repulsione verso il mondo del lavoro: frequentare degli stage all’interno di un contesto lavorativo orienta i ragazzi più capaci affinché scelgano un indirizzo più consapevole dopo il periodo scolastico.

Dunque, l’alternanza scuola-lavoro è nata per fornire capacità critiche agli analfabeti funzionali ed ha come secondo effetto quello di orientare anche le teste di serie, i ragazzi migliori, proprio perché spesso tantissimi sono i disorientati dopo la maturità … leggi tutto

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