Senza appello
I media ormai ospitano solo requisitorie-tabloid dei procuratori generali o articoli di cronisti vicini alla procura. Qualsiasi critica all’operato dei pm non è ammesso. Neanche il grande scrittore siciliano riuscirebbe a pubblicare oggi un articolo fuori dal coro
Per capire come sta messo quel che si dice il dibattito pubblico sulle cose di giustizia in questo Paese, e se in questi decenni si sia aperto e consolidato nella riaffermazione, diciamo così, garantista, o invece richiuso come in una campana ridondante il verbo degli influencer togati, basta farsi questa domanda: il direttore del Corriere della Sera, o il direttore de La Stampa, o il direttore de l’Espresso, oggi, farebbero scrivere Leonardo Sciascia? No.
Non cito a caso quelle tre testate, ma pour cause, giacché, come si sa, furono quelle che consentirono a Sciascia di scrivere le cose di cui oggi, appunto, sarebbe puramente e semplicemente inibita la pubblicazione. Non serve neppure snocciolarle qui, tanto sono note.
Basta vedere a quali firme e argomenti abbiano fatto posto quei giornali, là dove prima trovavano spazio gli argomenti e la firma di Sciascia: i raffinati editoriali di Antonio Di Pietro, la prosa chiomata di Gian Carlo Caselli sul “garantismo farlocco”, le requisitorie-tabloid del procuratore generale della Cassazione.
A tacere, ovviamente, degli eserciti di cronisti embedded in procura che formulano il milieu su cui fiorisce quella pubblicistica esemplare, e che non costituiscono manifestazione episodica e controversa di un’impostazione di parte, ma i ripetitori di una convenzione che esclude anche la sola ipotesi della voce contraria … leggi tutto