«Così aiuti la mafia!», l’anatema multiuso che tappa la bocca ai garantisti (ildubbio.news)

di Errico Novi

La polemica di Gratteri sulla presunzione 
d’innocenza («le mafie potrebbero approfittarne») 
è solo l’ultimo esempio. 

Costretti ad arretrare, i giustizialisti duri e puri sfoderano sempre più spesso l’arma della disperazione: accusano l’avversario di voler favorire le cosche. Anche se, come nel caso del deputato Enrico Costa, volevano solo affermare lo Stato di diritto

Ormai non si ragiona più. Promuovi una legge contro la sputtanopoli giudiziaria? «Fai gli interessi della mafia!». Cerchi di far notare timidamente che la riforma dell’ergastolo ostativo dovrebbe aderire alle indicazioni della Consulta, anziché cercare di ribaltarle? «Fai gli interessi della mafia!».

E, ovviamente: provi a chiedere di riagganciare le misure di prevenzione antimafia allo Stato di diritto, in modo che, almeno, se si è riconosciuti innocenti nel processo penale non si debba per forza essere spogliati di tutti i beni, dalle aziende alla abitazione? «Fai gli interessi della mafia!».

Ormai è così: non se ne esce. E la polemica scatenata da Nicola Gratteri contro le recenti norme in materia di presunzione d’innocenza («le mafie potrebbero approfittarne», ha detto ieri in un’intervista al Fatto quotidiano) ne sono la conferma: è davvero difficile cogliere il nesso reale fra le tutele previste in quel provvedimento e i presunti favori alle cosche temuti dal procuratore di Catanzaro.

Davvero non si capisce perché, in indagini nelle quali la virtù teologale sarebbe casomai il riserbo e non certo la ridondanza, vedersi limitati nel riferire ai giornalisti ogni dettaglio costituirebbe, per gli inquirenti, un danno.

Non a caso Enrico Costa, tra i maggiori protagonisti dell’iniziativa che nell’autunno scorso ha consentito di recepire la direttiva “garantista” dell’Ue, ha risposto per le rime: «Ad essere scontenti saranno coloro che fino ad oggi hanno campato sul marketing giudiziario, scientificamente studiato da certe Procure per far conoscere e apprezzare un prodotto parziale, non verificato, non definitivo: l’accusa.

Un prodotto presentato all’opinione pubblica come oro colato. Una forma di condizionamento anche del giudice, raggiunto da una gragnuola di frammenti di informazione proveniente solo da una parte».

Gratteri ha trovato pane per i suoi denti. Resta però l’efficacia del refrain, la paralisi dialettica che è in grado di indurre: come si fa a uscire dall’angolo, se insinuano che propendi per una certa norma perché segretamente vuoi fare un assist ai criminali? Non ne esci.

E se ben ci pensate, proprio con una tecnica del genere lo stesso Gratteri riuscì l’estate scorsa a far scivolare la riforma del processo penale verso il definitivo avvitamento sull’improcedibilità. Anche il quel caso disse che si sarebbero persi un sacco di processi alla malavita: ne è venuto il regime differenziato che ora fa ammattire gli uffici giudiziari, tanto è piena di eccezioni la norma base.

Ma certo, chiunque debba intestarsi quell’istituto preferirà farsi dare dell’incompetente, piuttosto che lasciarsi inchiodare dal inesorabile mood: «Fai gli interessi della mafia!»

manette

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