Le liti nei partiti e tra alleati, insulti a chilometro zero (corriere.it)

di Antonio Polito

Nessuno si fida di nessuno: forse non è chiaro 
il danno che questo «torello» continuo arreca 
alla credibilità della democrazia

La pugnalata alle spalle, il tradimento, il complotto, l’abiura, l’autocritica. Il
dizionario della lotta politica, in pieno XXI secolo e nonostante un governo di unità nazionale, rispolvera le parole e i toni della guerra fredda. Di un tempo in cui la delegittimazione tra avversari poteva almeno essere giustificata dallo scontro epocale tra visioni del mondo contrapposte. Così, se Di Maio non è d’accordo con il capo del suo partito, è perché è un essere «a forma di poltrona», è un «traditore», è «il Renzi del M5S» (non è chiaro se nella similitudine Conte ne sia il Bersani).

E Di Maio, per difendersi, deve metterla anche lui sul piano della dirittura morale, per spiegare che pur avendo contrastato l’elezione di Elisabetta Belloni, capo dei Servizi, a capo dello Stato, lei è sua «sorella» (addirittura!), e garantire che le è stata sempre «leale», in un singolare capovolgimento dei ruoli per cui è il ministro della Repubblica che giura lealtà al funzionario.

Giorgia Meloni, d’altra parte, non è più «disposta a fare buon viso a cattivo gioco», dove il cattivo giocatore, si direbbe quasi il baro, è Salvini, perché prende i voti del centrodestra e poi se li spende col centrosinistra, e d’ora in poi, se vuole ancora avere rapporti con lei, deve dare «garanzie» di non tradirla di nuovo alla prima occasione.

«Stia all’opposizione senza romperci troppo i coglioni», aveva dal canto suo intimato il Capitano, anche lui incline all’uso politico dell’indignazione. E lo scontro non risparmia nemmeno i minori. Perché se la Meloni dice che non vaccina la figlia, vuoi che Salvini non corra ad annunciare che nemmeno lui vaccina la figlia, e Tajani invece che la vaccinerebbe subito, se solo ce l’avesse una figlia piccola? Poveri ragazzi, privati della privacy fin dalla più tenera età.

Non si capisce fino a che punto i politici stiano imitando lo stile dei social, o i social abbiano assorbito quello dei politici; in una logica paranoica che prima o poi porterà qualcuno a definire gli avversari «pulci nella criniera del cavallo di razza», come fece Togliatti settanta anni fa con due dirigenti del Pci in dissenso, Magnani e Cucchi, bollati come «magnacucchi» (la infamia sul «venduto» funziona sempre: la colf di uno dei due espulsi si licenziò pur di non restare al servizio di un «traditore»).

Ma mentre nel passato di solito ci si insultava tra nemici, oggi lo si fa molto spesso tra alleati o anche tra compagni dello stesso partito. Con il risultato che gli elettori, il popolo costantemente evocato e vezzeggiato, viene indotto a ritirarsi sdegnato da una competizione politica sempre più vuota di idee e piena di potere … leggi tutto

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