di Aldo Bonomi
Ci dicono sia venuto il tempo di riandare in città.
C’è poco da fare il flaneur. Non riconoscendosi nei luoghi abituali, ci si interroga su come il flusso della pandemia abbia cambiato nell’identità le forze che fanno la città, cambiandone in profondità il nomos sociale e politico.
Perché ogni città è costituita dall’intreccio di tre livelli: è città-mondo che cerca di agganciarsi ai flussi globali; è città-sociale percorsa da faglie e poteri civili; è città-piattaforma territoriale, aperta alla dimensione regionale, impasto di infrastrutture, produzione, comunità. Se si va oltre le serrande abbassate, tante, e l’anonimato dei volti segnati dalla mascherina che inducono spaesamento ci si interroga sul cosa e come sarà.
Le città sono i luoghi in cui più radicale è l’affermarsi di un nuovo ciclo della società che si fa iper (non post) industriale, trainato dalla centralità nel valore dei grandi servizi che rappresentano l’infrastruttura a sostegno della capacità umana e sociale di riprodursi: salute, natura, sapere, finanza, cultura, logistica, abitare. Una re-industrializzazione della città che non è certo il ritorno della “fabbrica”, perché è la città nel suo complesso che si fa fabbrica del valore. Un salto accelerato dalla pandemia che ha reso i bisogni di riproduzione sociale sempre più centrali.
Ma questo nuovo motore industriale rimane composito, le nuove industrie non spiazzano ma trasformano e incorporano le vecchie. Il nuovo ciclo di re-industrializzazione urbana è composto da almeno tre traiettorie: certo le nuove industrie della riproduzione sociale e umana, ma anche filiere del capitalismo intermedio di territorio e le potenzialità delle micro-manifatture, del commercio e artigianato evoluto.
Sono anche luogo privilegiato dove atterrano i flussi del capitalismo delle reti da quelle dell’energia, ricordiamoci delle bollette, a quella della finanza, stridenti i numeri dei profitti delle grandi banche e quelli dell’aumento delle povertà. La città disvela con i suoi numeri le contraddizioni sociali che chiedono flussi dolci e capitali pazienti per rianimarsi. Capitali pazienti che devono incorporare i limiti ambientali e sociali della “città che viene”.
Verrà una industria urbana dell’abitare sulle ceneri della vecchia rendita immobiliare che ha lasciato il paradosso di tante case vuote e tanti senza casa?
Il valore dipende dalla produzione di funzioni urbane pubbliche e servizi condivisi, con interventi che puntano a riabitare e ri-cetomedizzare la città, abbassando la soglia di accesso al bene casa … leggi tutto