di Nicola Saldutti
Cominciamo dalle parole, alcuni preferiscono chiamarli inceneritori, mentre il loro nome è «termovalorizzatori».
Sembra solo una questione di vocabolario ma non lo è: inceneritore fa rima come emissioni e dunque viene usato quando si vuole dire di no. Ma anche l’altro termine trova molti avversari.
Eppure se si guarda al termovalorizzatore di Brescia di A2A si scopre che brucia tonnellate di rifiuti per dare energia e acqua calda a migliaia di famiglie. L’energia, appunto. La corsa del prezzo del gas ha reso ancora più necessaria l’economia circolare, l’utilizzo delle materie prime seconde, la diversificazione (ricordiamo che bisogna sostituire 29 miliardi di metri cubi prima importati dalla Russia). Il governo Draghi ha fatto un enorme sforzo per aumentare le riserve di gas, arrivate al 74%, il livello più alto dell’Europa.
Eppure la sindrome di chi non vuole nel proprio giardino (o nel proprio porto) le soluzioni tecnologiche che consentirebbero di aumentare il grado di indipendenza del Paese, riguarda molte persone. Non solo gli ecologisti vecchia maniera, professionisti del no, ma anche chi vorrebbe pagare meno il gas, vorrebbe che la Tari, la tariffa-tassa sui rifiuti fosse meno cara. E
qui sta il bivio: o si continua a far viaggiare i rifiuti sulle navi in prima classe per pagare altri Paesi disposti a bruciarli nei loro termovalorizzatori oppure si decide di risparmiare questo spreco e utilizzarli per avere energia in casa. La risposta di buon senso è abbastanza semplice, a prima vista.
E invece proprio sul termovalorizzatore di Roma si è innescata la caduta del governo Draghi. Poi i rigassificatori.
Nel 2006 si pianificava di averne undici. Siamo arrivati a stento a tre, e ora la Snam è riuscita a recuperarne altri due che molti non vorrebbero ancorare davanti ai proprio porti … leggi tutto