Il ridicolo tentativo del governo di buttarla in caciara dopo la tragedia di Cutro (linkiesta.it)

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Palla in tribuna

Alla riunione dei ministri degli Interni dell’Ue sul dossier migrazione ha partecipato solo il sottosegretario Molteni. La destra sta provando a spazzare la polvere sotto il tappeto, come sempre, ma le responsabilità sul naufragio non saranno dimenticate

Per dire quanto sono sfasati a Palazzo Chigi, ieri a Bruxelles si è tenuta una riunione dei ministri degli Interni dell’Unione europea sulle tematiche migratorie, con un approfondimento sulla situazione dei flussi attraverso il Mediterraneo, cioè esattamente la questione che sta dominando la situazione italiana dopo la tragedia di Cutro.

A questa riunione europea è andato il sottosegretario Nicola Molteni – tra parentesi, salviniano di ferro – in rappresentanza del ministro Matteo Piantedosi, che si trovava appunto a Cutro per un’operazione di propaganda chiamata “Consiglio dei ministri”.

Capito? Abbiamo una premier che ripete un giorno sì e l’altro pure che l’immigrazione è un problema europeo e poi alle riunioni dell’Unione manda il sottosegretario, che si può immaginare quanto conti: nemmeno le agende sanno coordinare.

La questione, al di là della dabbenaggine, sta diventando molto seria. Perché ormai è chiaro che la preoccupazione numero uno del governo è come far dimenticare le magagne, gli errori, le scempiaggini.

Chi si ricorda più delle gesta di Giovanni Donzelli e Andrea Delmastro? Via, spariti, la gente se ne scorderà. E così su tutto.

Cutro però non si è sgonfiata, anzi, giorno dopo giorno è diventata una questione di enorme rilevanza persino morale, oltre la terribile materialità del non aver saputo salvare decine di persone lasciate affogare, non nell’oceano col mare forza nove, ma davanti alla costa calabrese col mare forza quattro.

Dopo la figura barbina di Piantedosi in Parlamento, dove evidentemente hanno prevalso le ragioni delle opposizioni, Giorgia Meloni ha avuto la pensata tra l’effimero e il cinico di tenere una seduta del Consiglio dei ministri proprio a Cutro con un decreto abbastanza finto, blindando la cittadina calabrese, recitando (male) la parte della decisionista: scaricando le responsabilità su Frontex e prendendosela con gli scafisti – però, che intuizione! –, dicendo che «li andremo a prendere in tutto il mondo» e per i quali vengono inasprite le pene (fino a trent’anni se ci sono vittime), ma non pare un gran deterrente per delinquenti senza scrupoli, semmai è una trovata per fare la faccia feroce soprattutto per fra star buono un marginale Salvini.

Ma quale decisionismo della premier, se si è messa pure a litigare con i giornalisti, se pasticcia sull’orario dell’alert di Frontex: il viso sì, è stato quello cattivo del palco di Vox e non dei sorrisoni “istituzionali”, segno che il nervosismo monta, come accade quando non sai più che dire.

Da parte sua, la Lega, per dimostrare che questa è «roba» sua, alla Camera ha provato a far discutere una legge che in sostanza ripropone i famigerati decreti Salvini, ma le opposizioni hanno abbandonato la commissione e d’altronde la materia è per così dire stata assorbita dal decreto di Cutro.

Tutta propaganda, insomma, da parte di Meloni come della Lega, che ieri hanno fatto a gara a chi fa la faccia più feroce. Ovvio che dinanzi a questi spettacolo che molta gente a Cutro abbia protestato lanciando verso la premier innocui ma eloquenti pupazzi di peluche.

Il governo pensa di aver così archiviato una delle più terribili stragi – terribile perché evitabile – provando a cambiare spartito con l’operazione-boomerang del Consiglio dei ministri e mettendo all’ordine del giorno la riforma fiscale usata come ennesima arma di distrazione di massa: ma se è così, l’impressione è che Giorgia Meloni stia sbagliando i conti, perché la strage di Cutro non si dimenticherà mai.

Migrazioni, continua lo “sgoverno” (avvenire.it)

di Maurizio Ambrosini

Difficile fare peggio

Al premier olandese Rutte che come da copione chiedeva di contrastare i cosiddetti “movimenti secondari” dei richiedenti asilo dal Paese Ue di primo approdo verso altri Paesi dell’Unione, la collega Meloni ha risposto che bisogna invece contrastare i “movimenti primari”.

Ossia gli arrivi. È questa la logica in cui s’inscrive la teatrale convocazione del Consiglio dei ministri a Cutro, dopo giorni di latitanza governativa dopo la strage davanti alle coste calabresi. Una volta definita la strategia, nel governo sono sorte tensioni su come attuarla. La linea dura di Meloni è in concorrenza con la linea durissima della Lega di Salvini, che propone il ritorno ai decreti (in)sicurezza del 2018.

Quelli già ridimensionati dai pronunciamenti della Corte costituzionale e messi in questione dal presidente Mattarella. Rincarando la dose, mercoledì Salvini ha elogiato il premier britannico Sunak che, riesumando un’iniziativa assai criticata di Boris Johnson, intende abolire in sostanza il diritto d’asilo sul suolo britannico per chi arriva dal mare in modo irregolare, spedendolo in Ruanda.

La convocazione governativa a Cutro doveva quindi dare agli italiani l’impressione di affrontare in modo nuovo e risolutivo i nodi più drammatici della questione migratoria. Una sfida in realtà assai più ampia e articolata del tema degli sbarchi dal mare. Infatti i primi cinque articoli del decreto sono dedicati a una correzione del decreto-flussi che regola gli ingressi regolari per lavoro: erano norme attese e sollecitate dal mondo imprenditoriale, che da tempo segnala fabbisogni di manodopera scoperti e lamenta procedure troppo complesse.

Finora i decreti-flussi sono serviti sostanzialmente a regolarizzare lavoratori in realtà già entrati in Italia. Le nuove norme hanno il merito di semplificare e accelerare le procedure per il rilascio delle autorizzazioni, privilegiando il ruolo delle associazioni di categoria come garanti del rispetto di norme e contratti. Ma rimane il dubbio se davvero i datori di lavoro saranno disponibili ad assumere in forma nominativa persone del tutto sconosciute.

Quanto alla prevenzione degli arrivi spontanei di profughi, il legame è labile: il governo italiano prevede quote preferenziali per i Paesi che organizzeranno campagne mediatiche per prevenire le partenze.

È una strada già tentata dalla Ue, con ingenti investimenti e risultati controproducenti: chi vive nel Sud del mondo quando è raggiunto da queste campagne tende piuttosto a immaginare che se gli europei spendono denaro per invitarlo a non partire, è perché davvero dispongono di un benessere che non vogliono condividere.

Se l’aumento delle possibilità di ingresso per lavoro può forse rispondere a una parte delle esigenze di alcuni Paesi in crisi, come Tunisia ed Egitto, non servirà per chi fugge da guerre e oppressioni, rimanendo peraltro escluso dalle autorizzazioni all’ingresso: Afghanistan, Siria, Somalia, Eritrea e vari altri luoghi dolenti della geografia mondiale delle crisi umanitarie.

Il resto del decreto cerca di rafforzare la linea della chiusura, senza neppure provare a immaginare soluzioni alternative per l’accoglienza dei rifugiati. La prima è il rafforzamento dei Cpr, ossia i centri destinati a rinchiudere le persone in vista del rimpatrio forzato, disumani quanto inefficienti, ammettendo così implicitamente il fallimento delle precedenti rumorose campagne sull’incremento delle espulsioni.

La seconda è l’aggravamento delle pene per i cosiddetti scafisti, su cui il governo scarica la responsabilità delle morti in mare. In realtà, chi guida le barche è l’ultimo anello della catena del trasporto illegale, non sono certo i boss a rischiare la vita in mare o l’arresto. Tra gli arrestati per la tragedia di Cutro c’è un minorenne, e qualche anno fa erano una cinquantina i minorenni rinchiusi nelle carceri italiane per reati analoghi.

Va poi ricordato ancora una volta che il trasporto illegale prospera perché non esistono vie d’ingresso legali a disposizione di chi fugge, e chi li organizza usa senza scrupoli mezzi fatiscenti o inadeguati perché sa che i natanti verranno sequestrati e distrutti.

Infine, in coda è stato aggiunto in corsa, rispetto alla bozza preannunciata, il veleno che avrà le peggiori conseguenze sul futuro dei profughi e sulla qualità della vita urbana: il permesso per “protezione speciale” viene ristretto e in prospettiva, secondo la premier verrà abolito.

Era un’opportunità per tutelare chi, pur non avendo ottenuto il riconoscimento come rifugiato, aveva compiuto dei passi verso l’integrazione sociale, per esempio avendo imparato l’italiano e trovato un lavoro. Ricacciarlo nell’ombra, ossia in mezzo a una strada, sarà un dramma per lui e un problema per tutti.

Nessuna menzione, almeno nei testi finora diffusi, di corridoi umanitari e altre soluzioni alternative ai viaggi a rischio mortale per mare. Era francamente difficile fare peggio, dopo una tragedia che ha scosso il Paese, e dopo la quale ci si aspettava almeno un sussulto di umanità.