Elly’s Island
Accusare il governo di avere tanti morti sulla coscienza per norme assai più morbide di quelle varate a suo tempo da Conte è una scelta discutibile di per sé, ma ripetere quelle parole mentre si sfila a braccetto con l’Avvocato del popolo sarebbe imperdonabile
Dinanzi a una tragedia come quella di Cutro è sempre molto difficile tracciare il confine tra doverosa richiesta di chiarezza e speculazione politica, legittima indignazione e strumentalizzazione di parte.
Certo sarebbe più facile abbassare i toni se l’attuale presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, dinanzi a una tragedia analoga, nel 2015, non avesse dichiarato pubblicamente che il governo Renzi avrebbe dovuto essere «indagato per strage colposa». O se l’attuale ministro degli Interni, Matteo Piantedosi, per prima cosa non fosse andato in conferenza stampa a stigmatizzare il comportamento delle vittime, a suo giudizio responsabili di avere messo a rischio la vita di se stessi e dei loro cari, aggiungendo poi, in quell’occasione come nei numerosi interventi successivi, dichiarazioni se possibile ancora più grottesche. La migliore di tutte l’ha detta in audizione in Senato: «Io sono talmente capace di emozionarmi che lo faccio prima che le tragedie avvengano».
Quella del ministro, insomma, è una sensibilità predittiva, quasi profetica. Sarebbe bello se una simile dote lo portasse a dimettersi prima della prossima figuraccia.
Non bastassero le molte ombre sull’accaduto, l’inspiegabile lentezza nei soccorsi, il rimpallo di responsabilità, le contraddizioni emerse dalle diverse ricostruzioni, l’opposizione avrebbe dunque ancora mille buone ragioni per chiedere le dimissioni di Piantedosi, e bene ha fatto la nuova segretaria del Pd, Elly Schlein, a guidare questa battaglia.
Dopo tante discussioni sull’identità della sinistra, e la necessità di maggiore radicalità, maggiore nettezza, maggiore autenticità, ci sono però nelle sue prime mosse e nei suoi primi interventi alcune vistose omissioni (tu chiamale, se vuoi, rimozioni).
Schlein ha dichiarato immediatamente, nel suo primo discorso da segretaria, che la strage di Crotone «pesa sulle coscienze di chi solo qualche settimana fa ha voluto approvare un decreto che ha la sola finalità di ostacolare il salvataggio in mare». Parole molto pesanti, e anche approssimative, che hanno offerto l’occasione al governo di ricordare facilmente come la strage sia avvenuta in una tratta non coperta dalle navi delle ong.
Ma soprattutto parole che mal si conciliano con la scelta di rilanciare il rapporto con Giuseppe Conte, cioè il presidente del Consiglio responsabile di quei decreti sicurezza che avevano esattamente tale finalità, ostacolare l’opera delle ong, ed erano da questo punto di vista anche assai più duri (senza contare che secondo l’ex portavoce della guardia costiera, l’ammiraglio Vittorio Alessandro, intervistato ieri da Repubblica, il primo governo Conte ha anche la responsabilità di avere «imbrigliato» l’azione della guardia costiera, assegnando un ruolo strategico al Viminale, in una logica più di polizia che di soccorso).
Come si può dunque da un lato dire che tanti morti pesano sulla coscienza di chi ha approvato un decreto che ostacola i salvataggi e dall’altro apprestarsi a manifestare insieme a Conte a Firenze, in quello che da giorni viene presentato come il primo atto del nuovo corso unitario del Pd?
Anche in parlamento, intervenendo in commissione contro il ministro Piantedosi, Schlein ha scandito: «Voi dovreste chiedere una missione di ricerca e soccorso in mare europea, una Mare Nostrum europea, e finirla con una criminalizzazione spietata delle organizzazioni non governative che stanno solo sopperendo alla mancanza di una missione con pieno mandato umanitario da parte dell’Unione europea nelle rotte più pericolose».
Non tedierò il lettore con il ripasso di tutte le dichiarazioni e gli atti legislativi con cui il Movimento 5 stelle ha proceduto in questi anni alla criminalizzazione delle ong, oltre a votare contro l’abolizione del reato di immigrazione clandestina. Per chi fosse interessato all’argomento, ne troverà un’esauriente ed equanime raccolta, insieme con le perle di tanti altri leader, compresi fior di democratici, in un bel libro di Paola Di Lazzaro e Giordana Pallone: «Com’è successo» (Fandango).
Per i più pigri, mi limito a ricordare che è al Movimento 5 stelle che dobbiamo la definizione di «taxi del mare», nonché alcuni degli emendamenti più odiosi ai decreti sicurezza (per inasprirli, ovviamente) come quello sulla confisca delle navi delle ong.
Per di più, nel suo intervento in commissione, Schlein invitava il governo a chiedere la riforma del trattato di Dublino, ricordava di essersene occupata a suo tempo come parlamentare europea e incalzava il ministro con queste parole: «…ho potuto spesso rimarcare la totale assenza delle forze che oggi governano questo paese alla discussione che lei sa essere la più importante per l’Italia, perché è quello strumento che blocca centinaia di migliaia di richiedenti asilo nel primo paese europeo dove mettono piede anziché avere, prendo le sue parole di prima, una risposta che non è quella insufficiente del ricollocamento volontario che non ha mai funzionato, ma un sistema di redistribuzione obbligatorio delle responsabilità sull’accoglienza che valorizzi anche i legami significativi dei richiedenti asilo con tutti i paesi europei; l’avevamo ottenuta questa riforma, nel 2017, senza il voto delle forze che oggi governano il paese».
Per la cronaca, a votare contro la riforma nel 2017 è stato anzitutto il Movimento 5 stelle (la Lega, per dire, si astenne). In compenso, quel sistema di ricollocamenti volontari «che non ha mai funzionato» è esattamente il sistema ottenuto da Conte al Consiglio europeo del 28 e 29 giugno 2018, e sbandierato allora ai giornali come un risultato storico (sì, esatto, proprio come ha fatto Meloni poche settimane fa: non c’è presidente del Consiglio italiano che in questo campo non ottenga risultati storici, a chiacchiere).
Il Partito democratico di Schlein ha dunque ora due strade davanti a sé: continuare a incalzare il governo su questo terreno, inchiodando ciascuno alle proprie responsabilità (con la necessaria dose di autocritica per le scelte passate, ad esempio sugli accordi con la Libia), oppure abbassare i toni e cercare magari altri terreni su cui radicalizzare lo scontro. Sono entrambe scelte legittime, che hanno pro e contro sia in linea di principio sia da un punto di vista puramente tattico.
Ma quale che sia la scelta, bisogna essere conseguenti, e misurare bene le proprie parole: accusare il governo di avere tanti morti sulla coscienza per un decreto assai più morbido di quello varato a suo tempo da Conte è una scelta discutibile di per sé, per le ragioni già dette, ma ripetere quelle parole mentre si sfila a braccetto con il leader grillino sarebbe davvero imperdonabile.