L’Ucraina proibita
Sabato hanno marciato tutte le diverse componenti del mondo progressista di osservanza demo-populista, ma non c’erano bandiere della resistenza di Kyjiv, il vero simbolo dell’antifascismo europeo
Ci si può certamente appassionare – chi siamo noi per giudicare – a quella pagina esemplare di monopolarismo bipopulista rappresentata dalla mobilitazione indignata contro il pericolo “fascista” e “comunista”, parteggiando per la sussiegosa retorica del compagno rettore Montanari, che parla melonianamente da padre di uno studente del Liceo Michelangiolo, nella parata della #FirenzeAntifascista, o per le geometrie variabili, con cui il ministro Valditara nobilita o liquida l’epistolario anti-violenza dei dirigenti scolastici alle prese con una patetica riedizione del “settantasettismo” destrorso e sinistrorso: bravo il preside milanese a bacchettare chi lo ha raffigurato a testa in giù, cattiva la preside fiorentina insorta contro il pestaggio dei post-camerati vicini o interni al partito della madre, italiana e cristiana presidente del Consiglio.
Una riflessione più fredda e meno appassionata, ma più veritiera, dovrebbe portare a concludere che la ragione di tutto questo calore, di tutta questa indignata militanza contrapposta continua – esattamente come ai tempi (non) eroici della violenza politica rossa e nera – a poggiare su una denegata contiguità e parentela tra questa destra e questa sinistra nel modo di intendere il rapporto tra i mezzi e i fini e di giustificare i primi alla luce dei secondi. Per gli uni e per gli altri, il problema della violenza cambia con il colore della violenza.
Solo questo spiega perché il partito di maggioranza relativa non abbia pensato di dire una parola sulle violenze che hanno visto protagonisti non dei provocatori, ma dei – chiamiamoli così – camerati che sbagliano, e perché d’altra parte nella manifestazione dell’antifascismo ufficiale, con tutti i leader della sinistra politica e sindacale bella e buona in prima fila, gli slogan tipo «Tito ci ha insegnato che uccidere un fascista non è reato» continuano a essere ascoltati con divertimento o con fastidio, ma non con sdegno, non con un senso di estraneità tale da allontanare questi antifascisti retrò, anche se giovanissimi, da un corteo teoricamente super-democratico.
Ma veniamo al punto centrale, in una prospettiva attualmente antifascista. A Firenze hanno marciato tutte le diverse componenti della composita koinè progressista di osservanza demo-populista.
C’era il Partito democratico, c’era il Movimento 5 stelle, c’era la Cgil, c’era l’Arci, c’era l’Anpi, c’erano – qualunque cosa significhi – i movimenti, c’era il ceto medio riflessivo, c’erano gli antagonisti pavloviani nei loro riflessi anti-imperialisti, c’erano tutti i colori dello spettro antifascista nazionale e c’erano ovviamente i pacifisti. C’erano le immancabili bandiere palestinesi e di tutti gli infiniti rivoli della diaspora comunista.
Non c’era però una bandiera dell’Ucraina, che è oggi la vera frontiera della resistenza antifascista europea. Il compenso c’erano svariati censori dei “fascisti ucraini”, che per gli antifascisti di rito anpista-pagliaruliano sono quelli che si difendono dall’aggressione putinana, ma hanno il torto inemendabile di farlo con i soldi e le armi degli alleati atlantici, quindi, secondo la vulgata, del fascismo vincente nell’eterno dopoguerra europeo e planetario.
Non c’era una bandiera ucraina, non c’era uno striscione pro Ucraina e non c’è stata una parola e un briciolo di solidarietà e di commozione per l’esempio di una vera Resistenza di popolo e democratica (in questo certamente diversa da quella italiana, popolata da furbissimi partigiani del 26 aprile e di stolidi banditori di distopie totalitarie).
Cosa questo significhi è troppo chiaro ed eloquente: che l’antifascismo reale è oggi letteralmente proibito nelle piazze della bella gente antifascista della sinistra italiana e che la sua presenza sarebbe suonata sabato addirittura provocatoria, di fronte al generoso sforzo di unità di Elly e Giuseppe che, pronubo Maurizio Landini, si parlavano nell’orecchio, si abbracciavano e si sorridevano.