di Massimo Franco
La Nota
La sorpresa del Pd per lo smarcamento di Giuseppe Conte rispetto a un’alleanza a sinistra suona un po’ troppo ingenua.
La vera e unica strategia dei Cinque Stelle è sempre stata quella delle «mani libere». Ha permesso a Conte di guidare un governo con la Lega e, a ruota, uno col Pd; e subito dopo, su impulso di Beppe Grillo, di entrare in un esecutivo con dentro Pd, FI e Lega.
Meravigliarsi perché il leader post-grillino si definisce con un neologismo ambiguo un «progressista indipendente» significa non avere voluto vedere i cromosomi del M5S.
Con buona pace dei nostalgici e teorici di un asse «giallorosso», numerosi tra i postcomunisti del Pd, il presidente del Movimento è solo tornato alle origini. E, non a caso, alla vigilia di una votazione che come minimo lo vedrà prevalere nelle vesti di leader di una formazione spaccata; e con un Beppe Grillo probabilmente perdente, ma proprio per questo deciso a tenere aperta la guerra di logoramento il più a lungo possibile. Rivendicare le distanze dal Pd dovrebbe limitare le perdite tra gli iscritti.
C’è, tuttavia, chi si ostina a considerare il M5S un compagno di strada. E per farlo sottolinea che a livello europeo il M5S aderisce a Left, il gruppo di estrema sinistra dominato dalla tedesca Sahra Wagenknecht. Ma si tende a dimenticare che la scelta è avvenuta per esclusione dei grillini, ritenuti inaffidabili, da parte delle altre famiglie politiche; e dopo che Grillo e Conte, in passato, avevano tentato di essere accolti anche dai Liberali. L’adesione a Left è semmai la conferma del camaleontismo e della spregiudicatezza di una nomenklatura.
La principale coerenza che si intravede dietro oscillazioni continue è un pacifismo declinato contro il sostegno di Unione europea e Nato all’Ucraina: una peculiarità che avvicina la formazione di Sahra Wagenknecht e i Cinque Stelle all’estrema destra di Marine Le Pen e di Matteo Salvini, e al gruppo dei Patrioti europei; e che continua a rappresentare lo spartiacque tra Conte e il partito di Elly Schlein.
«Non può essere progressista» polemizza Conte col Pd che ha sostenuto la Commissione Ue, «una politica che abbraccia l’eventualità di una terza guerra mondiale nel conflitto Russia-Ucraina».
Ma hanno tutta l’aria di tentativi affannosi di recuperare un’identità non tanto lacerata quanto in via di esaurimento. L’abbraccio «unitario» della segretaria del Pd, Schlein, alla fine ha mostrato i limiti dei Cinque Stelle e l’affanno dello stesso Conte.
E le minacce e le sceneggiate di Grillo hanno finito per esaltare più l’egocentrismo dell’«Elevato», frustrato dalla perdita di potere e di ruolo, che non la sua presa sul Movimento. Le trovate grilline, stavolta, sono apparse solo gesti distruttivi di uno sconfitto.