Piccola posta
Vorrei dire al mio caro Tomaso Montanari e al mio carissimo Guido Viale che nella guerra della Russia all’Ucraina non – NON – “si stima oltre un milione di morti”. La stima più pesante, ufficiosamente fornita dal Wall Street Journal, è di “un milione FRA MORTI E FERITI”.
Stavamo registrando il nostro sismografo sui nuovi dati. Il tasso di antiamericanismo di principio fortemente ridotto grazie all’avvento di Donald Trump. Il tasso di filoputinismo immutato nonostante l’avvento delle truppe di Pyongyang sul fronte di Kursk. Poi è arrivato il colpo, il colpetto, di Seul. Sarà tre volte carnevale, e festa tutto l’anno.
E intanto vorrei dire al mio caro Tomaso Montanari, che l’ha dichiarato con drammatica sicurezza sulla 7, e al mio carissimo Guido Viale, che l’ha ripetuto con drammatica certezza sul Manifesto di ieri, e a chiunque altri sia interessato, che nella guerra della Russia all’Ucraina non – NON – “si stima oltre un milione di morti”.
La stima più pesante è stata ufficiosamente fornita a settembre dal Wall Street Journal, e ha nominato “un milione FRA MORTI E FERITI”. Precisando, sulla base di una “fonte confidenziale”, che dalla parte ucraina i morti sarebbero 80 mila e i feriti 400 mila, e da parte russa 200 mila i morti e 400 mila i feriti. Cifre enormi, enormi. L’altro ieri Zelensky ha smentito quel calcolo sugli 80 mila morti ucraini dichiarando che il numero è “minore, molto minore”.
Comunque sia, scambiare un calcolo ufficioso di “un milione fra morti e feriti” per “un milione di morti” vuol dire stare su un altro pianeta, assai peggiore di questo, che è già orribile. Viale va oltre, e al milione di morti aggiunge “due o tre volte di più gli invalidi fisici e psichici per tutto il resto della loro vita”.
Qualcosa di simile avviene per il luogo comune – comune perché altrove, e specialmente a Gaza, largamente fondato – secondo cui nelle guerre il maggior numero di vittime riguarda la popolazione civile. In Ucraina non è nemmeno lontanamente vero, benché le vittime civili siano terribilmente numerose – a gran differenza dalle vittime di parte russa. I russi ammazzano e muoiono fuori casa.
Errori così madornali, almeno nel caso di queimiei cari, non sono certo frutto di mala fede. Al contrario, della buona fede che viene dalla convinzione di perseguire la pace sopra ogni cosa. Sopra ogni cosa, appunto.
Ho un’ultima osservazione, in questa paginetta di errata corrige. C’è una larga, antica, tenace, audace ribellione popolare, di giovani soprattutto, donne e uomini, a Tbilisi e nel resto della Georgia. Il Cremlino ha appena ribadito che è il frutto delle mene occidentali, come nel 2014 ucraino di Maidan. In effetti, la piazza e le strade di Tbilisi, che oggi arrivano al sesto giorno di seguito, alla sesta notte, sono una pietra di paragone della piazza di Kyiv di dieci anni fa.
Il primo ministro Irakli Kobakhidze, e l’oligarca Bidzina Ivanishvili, “il più ricco”, del Partito dell’Incubo georgiano filorusso, avevano annunciato sei giorni fa di posporre al 2028, cioè mai, i negoziati per l’ingresso della Georgia nell’Unione europea, iscritto nella Costituzione.
Alla vigilia del 2014 di Euromaidan il presidente Viktor Janukovyč aveva ripudiato la firma del trattato di associazione con l’Unione europea per tornare alla dipendenza dalla Russia. A Maidan le forze antisommossa Berkut fecero molte decine di morti. In Georgia le truppe antisommossa hanno finora fatto centinaia di arresti e molte decine di feriti.
Ognuno, ognuna, può guardare e trarne le conseguenze.
(Luke Jones)